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Nuovi dubbi sul pensiero unico evoluzionista. Li sollevano due biologi darwinisti
NEWS 7 Giugno 2016    

Nuovi dubbi sul pensiero unico evoluzionista. Li sollevano due biologi darwinisti

«Darwin ha dimostrato che basta osservare la natura per convincersi senz’ombra di dubbio che l’umanità non è superiore o più speciale rispetto agli organismi simbioti chiamati licheni». Queste parole dell’eco-attivista Christopher Manes verrebbero oggi sottoscritte non soltanto da animalisti ed ecologisti radicali, ma anche da anti-teisti di professione, convinti che il modo più facile per smentire l’esistenza del Creatore sia smentire l’unicità dell’uomo, della creatura.

Questo spiega l’ampio ricorso da parte del cosiddetto “ateismo scientista” (che vuole argomentare il proprio scetticismo metafisico strumentalizzando la scienza) alle teorie evolutive di Darwin. Ma è un’arma a doppio taglio perché, secondo diversi scienziati, è proprio lo studio approfondito dell’evoluzione biologica a far emergere il cosiddetto human exceptionalism, ovvero l’eccezionalità umana. Secondo i sostenitori del riduzionismo, il fatto che l’uomo non sia eccezionale sarebbe una prova contro Dio: ma se viene mostrato il contrario? Bisognerebbe rimanere coerenti.

Ne ha parlato nei giorni scorsi il medico e biologo Joshua Swamidass, docente presso la divisione di Medicina genomica della Washington University. Dopo aver chiarito che «una somiglianza genetica» tra l’uomo e lo scimpanzé richiama in qualche modo un comune antenato, ha replicato a chi sostiene che, proprio per questo, l’essere umano non è che una grossa scimmia semplicemente più evoluta. «E’ davvero questo ciò che la scienza ci dice?», si è domandato. Certo, condividiamo il 95-98% dei geni con le scimmie antropomorfe, ma uno studio ha dimostrato che il 99% dei geni è in comune anche con il topo. Quindi, siamo più topi che scimmie? E cosa dire del fatto che condividiamo anche il 90% del DNA con i coralli marini? Un altro studio ha dimostrato che condividiamo il 90% dei geni con i gatti, l’82% con i cani e l’80% con le mucche. Addirittura il 50%, invece, è in comune con le banane. Siamo banane per metà, dunque? E’ evidente che, come abbiamo già osservato, l’uomo “non si spiega” nei suoi geni.

Durante il convegno a cui ha partecipato il prof. Swamidass, era presente anche Ajit Varki, docente di Medicina cellulare e molecolare e co-direttore del Glycobiology Research and Training Center dell’University of California, autore del libro Denial: Self-Deception, False Beliefs, and the Origins of the Human Mind (Twelve edition 2013), in cui ha mostrato la “singolarità” nella crescita del genere umano. «Gli esseri umani sono molto, molto insoliti», ha affermato Varki. C’è un «eccezionalismo nelle nostre origini umane». Sono tanti gli elementi da considerare, in particolare la mente umana: «nulla di simile è stato incontrato in tutta la storia del nostro pianeta». Nessun gradualismo nell’evoluzione della mente, perché «le sue capacità erano già presenti 70.000-100.000 anni fa in Africa». Immaginate, ha detto il prof. Varki, di prendere 1.000 bambini africani di 70.000 anni fa e portarli nella California di oggi, «se tornate tra cinquant’anni non sarete in grado di riconoscerli, perché saranno esattamente come noi. Questo significa che tutte le capacità mentali, la capacità di calcolo, l’astrofisica, la musica sinfonica, la filosofia e la teologia, era già lì, erano già presenti 100mila anni fa». Lo stesso esperimento è stato tentato con anche con gli scimpanzé, «ed è inutile dire che i risultati sono stati diversi, a volte tragici», ha aggiunto il prof. Swamidass.

«Il prof. Varki», ha commentato il biologo Swamidass, «non sostiene che l’evoluzione è falsa. Invece, sottolinea che un modo onesto di guardare l’evoluzione umana, anche da un punto di vista strettamente scientifico, rivela che gli esseri umani sono veramente eccezionali. Si è verificata una “singolarità” nella storia del nostro pianeta, qualcosa di bello e unico è accaduto». La conclusione del prof. Varki, un’autorità indiscussa nel campo scientifico, è che «non è irragionevole quando alcuni si chiedono se Dio ha avuto un ruolo nelle nostre origini». E il suo collega Swamidass ha aggiunto: «Sono d’accordo, come evoluzionista teista personalmente credo che Dio ci ha creati attraverso un processo evolutivo. Teologicamente e scientificamente parlando, siamo stati formati dalla polvere della terra, ma siamo molto più che soltanto polvere».

Due semplici testimonianze di due autorevoli biologi e genetisti evoluzionisti che, grazie ad uno studio approfondito dei meccanismi evolutivi, giungono a sostenere una eccezionalità dell’essere umano tale per cui, soltanto partendo dal dato strettamente scientifico, arrivano alla necessità di introdurre una componente metafisica. Come ha affermato il genetista cristiano Werner Arber, premio Nobel per la medicina e attuale presidente della Pontificia Accademia delle Scienze: «Non ho mai sperimentato una contraddizione tra l’essere uno scienziato e credere nelle verità del cristianesimo, né difficoltà nel tenere insieme questi due ambiti. Piuttosto, può essere che le mie intuizioni scientifiche abbiano per qualche aspetto e in qualche misura influenzato le caratteristiche della mia fede. Ciò lo considero soprattutto un arricchimento».