«Gesù ha sofferto molto per me. Perché io non posso soffrire per Lui?». Così parlava Nunzio Sulprizio (1817-1836), il beato abruzzese che sarà presto proclamato santo, in conseguenza dell’autorizzazione data da papa Francesco a promulgare il decreto che riconosce un miracolo ottenuto per sua intercessione. Ma si potrebbe dire che tutta la sua breve vita terrena è stata un miracolo di grazia, perché Nunzio, perfetta immagine del dolore innocente, abbracciò la sua croce e dunque seppe addentrarsi nei misteri del regno dei cieli, unendo le sue sofferenze a quelle del Crocifisso, sostenuto dall’amore per Gesù e dal desiderio di aiutarlo nel Suo disegno di salvezza. Pio IX ne riconobbe le virtù eroiche nel 1859, Leone XIII lo indicò come modello per i giovani operai e lo stesso fece Paolo VI, che lo proclamò beato l’1 dicembre 1963.
Nunzio nasce il 13 aprile 1817, Domenica in Albis, nel piccolo comune di Pescosansonesco (PE). I suoi umili genitori – Domenico, un calzolaio, e Rosa, una filatrice – lo battezzano il giorno stesso della nascita e a poco più di tre anni, il 16 maggio 1820, lo conducono dal vescovo per la Cresima. Nell’agosto dello stesso anno, il piccolo vive il suo primo grande lutto, rimanendo orfano del padre. In quel periodo inizia a pregare e a conoscere Gesù e Maria, grazie soprattutto alla madre e a un sacerdote. Quando non ha ancora compiuto cinque anni, un altro dolore si abbatte sulla sua infanzia: la morte della mamma. L’orfanello viene preso in casa dalla nonna materna, Rosaria, una signora analfabeta ma dalla grande fede, che trasmette tutto il suo amore al nipotino e gli insegna ad affidarsi a Dio, pregando insieme a lui. Mentre frequenta la scuola di don Fantacci per i più poveri, il cuore di Nunzio non rimane indifferente all’educazione cristiana: comprende che il peccato è orribile e ama fare compagnia a Gesù nel tabernacolo.
È già come la casa costruita sulla roccia, quando, a poco meno di nove anni, perde anche l’amatissima nonna Rosaria. Ormai privo di tutti i suoi affetti umani più grandi, il bambino viene accolto in casa da uno zio paterno, che però non lo fa andare più a scuola e lo mette a lavorare nella sua officina di fabbro, picchiandolo e urlandogli bestemmie se vede che un lavoro non è stato eseguito come lui vorrebbe. Sopporta tutto con pazienza e a volte, lasciato senza cibo, è costretto a chiedere il pane ai vicini. «Sia come Dio vuole. Sia fatta la volontà di Dio», dice con il sorriso a chi gli chiede come fa a resistere. Presto arriva anche la malattia, una carie ossea conseguente a una ferita alla caviglia, a sua volta causata da un incidente sul lavoro. Nunzio si reca spesso alla fonte Riparossa per lavare la sua piaga, ma anche qui ha il suo carico di umiliazioni perché a volte viene scacciato da alcuni paesani, timorosi che possa infettare l’acqua.
Ma la sua fede non vacilla e nel 1832, grazie all’interessamento di un altro zio, viene condotto a Napoli all’Ospedale degli Incurabili, e di fatto adottato dal colonnello Felice Wochinger, un fervente cristiano che chiamerà il fanciullo «figlio mio» e da lui sarà chiamato «papà mio». Un sacerdote gli domanda quale sia il suo desiderio più grande: «Desidero confessarmi e ricevere Gesù Eucaristico per la prima volta!», risponde Nunzio, aggiungendo che «dalle nostre parti bisogna attendere i 15 anni». La prima Comunione è per lui una gioia immensa. «Da quel giorno», dirà il suo confessore, «la Grazia di Dio incominciò a operare in lui fuori dell’ordinario, da vederlo correre di virtù in virtù. Tutta la persona spirava amore di Dio e di Gesù Cristo». Se ne accorgono anche gli altri fanciulli ammalati, ai quali Nunzio insegna il catechismo e l’importanza di offrire ogni dolore a Gesù: «Siate sempre con il Signore, perché da Lui viene ogni bene. Soffrite per amore di Dio e con allegrezza».
Arriva a farsi approvare una regola di vita dal suo confessore, simile a quella di un monaco, divisa tra studio e preghiera, con un filiale abbandono nelle mani della Madonna, alla quale offre continui Rosari e che invoca così: «Mamma Maria, fammi fare la volontà di Dio». Le sue virtù eroiche non sfuggono a san Gaetano Errico (1791-1860), fondatore dei Missionari dei Sacri Cuori: «Questo è un giovane santo e a me interessa che il primo a entrare nella mia congregazione sia un santo, non importa se infermo». Ma non ci sarà il modo, perché nel marzo 1836 la salute di Nunzio subisce un peggioramento, accompagnandosi a febbri altissime e intensi dolori. «Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo in Paradiso», dice nelle ultime settimane del suo calvario, continuando a offrire tutte le sue sofferenze per la Chiesa e la salvezza delle anime: «Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore».
Torna alla casa del Padre il 5 maggio 1836, appena diciannovenne. Poco prima di morire, coloro che stanno al suo capezzale lo sentono esclamare con gioia: “La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!”. Dopo la croce, era giunta l’ora della gloria eterna.
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