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Notre Dame censura il cattolico Colombo
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25 Gennaio 2019

Notre Dame censura il cattolico Colombo

Tempi duri e bizzarri, questi, per il mondo dell’istruzione cattolica americana. Infatti, negli stessi giorni in cui in Rete un video divenuto virale ha criminalizzato come razzista un gruppo di studenti di una scuola cattolica del Kentucky – rei di sorridere «in modo arrogante», secondo un’interpretazione quanto meno discutibile, un nativo americano intento a intonare un canto tradizionale -, è circolata una notizia altrettanto spiazzante: quella della decisione, da parte dell’università cattolica di Notre Dame, di accodarsi al politicamente corretto con la censura a Cristoforo Colombo.

Più precisamente, l’ateneo – secondo quanto formalizzato in una decisione del reverendo John I. Jenkins, presidente dell’università – ha deciso che gli affreschi raffiguranti il celebre navigatore, realizzati da Luigi Gregori (1819-1896), «saranno preservati ma non saranno più esposti al pubblico regolarmente e nella loro posizione attuale». Il motivo? Sono stati giudicati offensivi nei confronti delle popolazioni indigene. Non solo. Nelle parole del presidente dell’ateneo echeggiano ragioni molto simili a quelle di coloro che, negli Usa, hanno preso ad abbattere o censurare le statue di Colombo.

«Per i popoli nativi di questa “nuova” terra», ha difatti affermato padre Jenkins, «la venuta di Colombo fu a dir poco catastrofica. A prescindere da qualunque altra cosa abbia portato il suo arrivo, per questi popoli ha portato allo sfruttamento, all’esproprio della terra, alla repressione di vivaci culture, alla schiavitù e a nuove malattie che hanno causato epidemie che hanno ucciso milioni di persone». Che dire? Il solito mea culpa occidentale. Che non tiene conto di tanti aspetti importanti.

Tanto per cominciare, il fatto che se Colombo è diventato Colombo è perché a finanziargli la spedizione c’era Isabella di Castiglia, regina che, non appena iniziò il fenomeno di schiavitù, intervenne ordinando di «non fare mai più schiavi» e di rimpatriare gli indios in America, riportandoli alle loro famiglie, e tutto a sue spese. La scoperta dell’America diede così modo alla nobile cattolica di anticipare di ben 35 anni i sermoni infuocati del domenicano Francisco de Vitoria che, assieme al vescovo Bartolomé de Las Casas, è considerato uno dei padri fondatori del diritto internazionale poiché formulò ed esplicitò i diritti degli indios.

Sbagliato, insomma, liquidare l’avventura del navigatore italiano tout court come «dir poco catastrofica» o associarla ai genocidi degli indigeni. Primo perché, a essere precisi, orrori spaventosi, nelle Americhe, avvenivano anche prima del 1492. Gli Inca e gli Aztechi, infatti, avevano grande familiarità coi sacrifici umani: questi, nel 1484, in onore di uno dei loro dèi, ne fecero 20.000. Secondo perché lo sterminio dei pellirossa, se a questo che ci si volesse riferire, avvenne in larga parte per mano inglese anglicana e puritana. Le stesse guerre indiane, poi, iniziarono quando Colombo era morto da oltre 200 anni.

Il sacerdote preside, tanto ligio al politicamente corretto, ha anche utilizzato un discorso di Giovanni Paolo II per sostenere la sua tesi iconoclasta. Peccato che ha dimenticato di citare un pezzo di quel discorso del santo papa polacco del 1987 rivolto agli amerindi. Questo: «nello stesso tempo, per essere obiettivi, la storia deve registrare gli aspetti profondamente positivi dell’incontro tra le vostre popolazioni e la cultura proveniente dall’Europa». E ricordava i tanti missionari che «lavorarono per migliorare le condizioni di vita e per creare sistemi di istruzione e per far questo impararono la vostra lingua. Soprattutto essi proclamarono la buona novella della salvezza in nostro Signore Gesù Cristo, di cui parte essenziale è l’affermazione che tutti gli uomini e le donne sono ugualmente figli di Dio e come tali devono essere rispettati e amati. Questo Vangelo di Gesù Cristo rappresenta oggi e rimarrà per sempre il maggiore vanto e patrimonio del vostro popolo».

Prendersela insomma con Colombo – che peraltro fu un cattolico fervente – significa avercela, anzitutto, coi di libri storia. E dispiace che anche un ateneo dalla storia indubbiamente gloriosa come Notre Dame ignori, o finga di ignorare, tutto questo, arrivando a censurare murales che possono pure non piacere, ma sono del tutto innocui.

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