I fedeli italiani potranno partecipare alla Santa Messa a partire dall’11 maggio, purché in luoghi aperti? Non vi è nulla di certo, ma questa ipotesi si è fatta strada nelle ultime ore, a seguito del duro Comunicato stampa pubblicato nella serata di domenica 26 aprile dalla Conferenza episcopale italiana (del quale abbiamo dato evidenza) in reazione alle decisioni governative di non riprendere le celebrazioni “cum populo” nella cosiddetta “Fase 2”, ma di consentire solamente i funerali con un massimo di 15 partecipanti.
Accanto, e in comunione, con la Conferenza episcopale italiana sono state diverse le voci che si sono espresse affinché sia resa possibile la partecipazione delle persone alla celebrazione eucaristica: tanti, tantissimi laici, ma anche diversi ecclesiastici, consci del bisogno del proprio gregge di tornare ad «abbeverarsi alla fonte». Ne riportiamo alcune, tra le più significative.
LE PAROLE DEI PRELATI
Per il cardinale Angelo Bagnasco nel decreto reso noto da Conte domenica 26 aprile si evidenzia una «disparità di trattamento inaccettabile», mentre i cattolici meriterebbero «una maggiore attenzione» e auspica un veloce superamento della «Chiesa virtuale». Inoltre, ha proseguito l’Arcivescovo di Genova, se la violazione della libertà di culto fosse stata intenzionale «la cosa sarebbe gravissima» e sarebbe «non solo un atto indebito, ma anche controproducente».
Deluso anche il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che in una nota delle diocesi afferma: «È in gioco la visione dell’uomo nella sua integralità, quindi anche nella sua dimensione spirituale, come anche la libertà di culto riconosciuta dalla Costituzione Italiana. Non si intende chiedere alcun privilegio, ma che venga riconosciuto, ottemperando alle disposizioni sanitarie, un pari trattamento rispetto a quello riservato a realtà simili, per altro degne di considerazione, ma non a noi».
Si dice invece «amareggiato» Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, per il quale «è sorprendente che riaprano tanti esercizi commerciali e non si riaprano le chiese per le liturgie almeno della domenica. Per i cristiani è centrale. È il cuore della fede».
Per Monsignor Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, «il culto è una libertà che non può essere bloccata in nessun modo. Il diritto al culto è garantito dalla nostra Costituzione e dalla coscienza. Si tratta, a questo punto qualora non venga dato questo diritto, di agire come ci insegnano gli atti degli apostoli, bisogna obbedire più a Dio o agli uomini? In questo caso, credo, più a Dio. Immagino che il buonsenso prevarrà. Le chiese non sono un luogo del contagio. Ma spazio di libertà e di speranza, dove anche chi la odia troverà sempre qualcuno che gli dice ti voglio bene, contando sull’aiuto di Dio».
Si è espresso in merito anche il cardinale Camillo Ruini, che in un’intervista rilasciata al Giornale ha innanzitutto affermato che «l’Eucarestia per i credenti è anzitutto un bisogno, il bisogno del pane della vita», mentre «sia la libertà, sia la tutela della salute non sono degli assoluti. Vanno realizzati nel concreto delle situazioni. Nel caso di una pandemia sono inevitabili delle restrizioni della nostra libertà, per limitare il contagio. Questo però non significa che le pubbliche autorità abbiano mano libera nel limitare o addirittura sopprimere, sia pure temporaneamente, le libertà che ci appartengono in quanto persone e che in Italia sono anche costituzionalmente garantite. A questo riguardo dobbiamo tutti vigilare». E, ha chiosato, «il governo ha il dovere di rivedere le sue posizioni».
Anche i vescovi toscani hanno espresso «l’esigenza di poter riprendere l’azione pastorale e l’attività di culto della Chiesa, nel rispetto delle misure necessarie per il controllo del contagio, ma nella pienezza della propria autonomia». Sulla stessa linea di pensiero anche i vescovi siciliani, per i quali è «auspicabile che in tempi brevi il Governo italiano riavvii la trattativa con la Conferenza episcopale italiana per riesaminare orientamenti e protocolli finalizzati alla ripresa immediata della piena partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza».
Puntuale anche l’intervento del vescovo di Reggio Emilia Massimo Camisasca, che si dice deluso dalle decisioni prese dal Governo e «rattristato per il fatto che non si sia tenuto conto dei sentimenti e delle attese del popolo cristiano». E questo anche alla luce del fatto che «la decisione dell’esecutivo esprime un’arbitraria violazione della libertà religiosa, sancita dalla Costituzione».
Oltre a quanto sopra, è da sottolineare il fatto che Monsignor Lauro Tisi, Arcivescovo della Diocesi di Trento, ha comunicato la decisione che da giovedì 30 aprile verranno riaperte le chiese, chiuse a chiave dall’8 di marzo, alla sola preghiera personale dei fedeli, ovviamente nel rispetto di precise disposizioni di carattere sanitario. Per i trentini, anche questo è un passo avanti.
Papa Francesco nell’omelia di martedì mattina a Santa Marta, ha richiamato alla prudenza: «In questo tempo nel quale si comincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena», ha affermato, «preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni». A molti è sembrato un controcanto alla Cei, la quale però non ha chiesto al governo di spalancare le chiese come nulla fosse, ma di rispettare la libertà di culto rendendosi disponibile ad applicare tutte le misure necessarie per l’emergenza sanitaria.
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