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Niente zen, siamo cattolici
NEWS 12 Settembre 2019    di Andrea Zambrano

Niente zen, siamo cattolici

Niente zen, siamo cattolici. I vescovi spagnoli hanno diramato una corposa nota che analizza la problematica relativa a quelle forme di nuova spiritualità orientale che in alcuni ambienti ha preso ad essere definito “zen cristiano”. Ebbene, cominciamo col dire che non esiste uno “zen cristiano” e che tutte le forme di meditazione, oggi si chiama mindfulness, volte a ricercare benessere personale, corporeo e spirituale, non sono altro che pericolose deviazioni dall’oggetto principale dell’attività di orazione che è Dio.

Nel documento La mia anima ha sete, ha sete del Dio vivente (30 pagine scaricabili qui) i vescovi responsabili della Dottrina della Fede in Spagna spiegano sostanzialmente che è inutile cercare pace, relazione interiore e equilibrio perché niente riempirà i nostri vuoti se non la pace autentica che dona Dio.

«E’ Gesù infatti il nostro maestro che ci va vivere in equilibrio e che ci insegna come pregare», spiegano i prelati cercando di utilizzare quel linguaggio usato da una moltitudine di persone che cerca – per stare bene – rifugio in pratiche orientali che alla fine portano al rischio dell’escapismo, cioè della fuga dalla realtà

La commissione ha infatti analizzato le tecniche di meditazione più in voga e che generano un indotto economico notevole, ma non sono le tecniche a salvarci, bensì l’attitudine a sentirsi in pace con Dio. Per fare questo ci possono essere anche tecniche specifiche, ma non intese come metodo o itinerario. Si tratta però di tecniche che predispongono il corpo e lo spirito al silenzio necessario per pregare, non sono il fine della preghiera.

In questo senso invece i vescovi sono molti chiari nell’individuare il grande inganno che può dare la serenità interiore di certe tecniche con «la vera pace che solo Dio può dare».

Ma come si fa a capire se si è di fronte ad una vera preghiera cristiana? Il giornale Religion en liberdad ha individuato dal testo dei vescovi 8 punti:

  • La preghiera è un incontro con Dio o con se stessi?
  • E’ un aprirsi alla volontà di Dio o una tecnica per affrontare le difficoltà della vita mediante l’autocontrollo?
  • E’ Dio il più importante o se stessi?
  • Nel caso in cui si ammetta una apertura a un essere trascendente, questi ha un volto concreto o siamo davanti a un essere indeterminato?
  • Il cammino di avvicinamento a Dio che ci ha aperto Gesù Cristo è uno dei tanti o è il solo che ci conduce al Dio vero?
  • Che valore ha per un crisitano gli insegnamenti di Gesù sulla preghiera?
  • Che elementi della tradizione secolare della Chiesa si devono mantenere?
  • Che aspetti proprio delle altre regioni posso essere incorporati per un cristiano nella sua vita spirituale?

Il problema principale che si apre è quello di un’intera generazione che non sa più pregare. Ma niente paura: a soccorrerci vengono incontro gli insegnamenti di Gesù sulla preghiera (ad esempio, pregare sempre senza stancarsi Lc 11, 5-13), i Sacramenti, il Rosario e la vita dei santi, dal trattare con amicizia Dio come Santa Teresa d’Avila alle parole di gratitudine di Santa Teresa di Lisieux. Sono queste quattro delle principali vie consigliate dai vescovi. Insomma, la cara e vecchia tradizione della Chiesa, dispensatrice di tutte le risposte alla nostra sete spirituale.

Noi ci permettiamo di aggiungere le parole di un altro santo spagnolo, San Josemaria Escrivà de Balaguer che in Cammino ha scritto tantissimo sulle modalità di preghiera. E scegliamo questa: «Non sai pregare? —Mettiti alla presenza di Dio, e non appena comincerai a dire: “Signore, … non so fare orazione!…”, sii certo che avrai cominciato a farla». (Cammino, 90).


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