(Vangelo Lc 2,1-14)
La vicenda del Natale – la dolce mistica notte in cui “nella città di Davide, è nato un Salvatore, che è Cristo Signore” – ha origine da un’imposizione.
L’imperatore Augusto emana un decreto, un dpcm, con il quale stabilisce che ogni cittadino dell’impero sia censito. E’ un atto di controllo della popolazione, una certificazione di potenza, una previsione di tasse in entrata.
Da questo atto di imperio, scaturisce la più grande delle storie e la più incredibile delle migrazioni. Tutti si muovono verso la propria città di origine. Qualcuno è nato, cresciuto nella stessa terra, all’ombra dello stesso “campanile”. Altri, probabilmente i più, per le vicende che solo Dio conosce, si trovano lontano dalla terra delle origini. Giuseppe e Maria sono in questa condizione. Vivono a Nazareth, in Galilea, la terra dei Gentili, al nord di Israele. La loro discendenza è radicata, invece, a Betlemme, il più piccolo dei capoluoghi di Giudea, al sud. Devono partire affrontando un viaggio complicato. Almeno una settimana di viaggio occorre per raggiungere la città dei propri natali. Ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma non determinano quasi niente della vita, come noi del resto. Le strade sono tortuose, come certe mulattiere di montagna e quando scende la sera anche insidiose. La temperatura cambia tra il giorno e la notte e occorre essere preparati per le circostanze meteorologiche avverse. C’è traffico. All’attività consueta, si deve aggiungere l’intensità di movimento di tanti clan familiari a motivo del censimento. La polvere delle strade, gli asini, i carri, i centurioni romani, i commercianti, i pellegrini diretti a Gerusalemme, i mendicanti, i primogeniti da consacrare al Tempio, le loro madri e i loro padri, gli schiavi, le urla, i cani che abbaiano, il vento, i caravanserragli, i pastori, il freddo della notte…
In mezzo a questo caos, si muovono due giovani sposi. Lei è all’ottavo mese. Qualche tempo prima, lei sola, da poco incinta, aveva compiuto lo stesso percorso per arrivare a Ein Kerem, per visitare Elisabetta, l’anziana parente in attesa di un figlio, lei che da tutti era umiliata come sterile. “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno”. Si era sentita rivolgere questo saluto. Maria sembra non trattenere più il frutto del grembo. Ogni passo è un sobbalzo. Ogni sasso è una spina.
Aveva detto sì all’impeto dello Spirito con l’ingenua baldanza di chi conosce amando senza riserve. Gli uomini amano conoscendo, con titubanza. Il viaggio procede con qualche lentezza. Giuseppe deve fermarsi più volte per far riposare la sua sposa. Il caldo, la salita, la ressa man mano che si avvicina alla capitale, la sete, serpenti, una tenda per dormire, il sonno, la pioggia… A Betlemme, la Città di Davide di cui Giuseppe era discendente, è un brulicare di persone. Il censimento aveva creato il miracolo di far convergere in quel piccolo borgo a pochi chilometri da Gerusalemme, tutta la famiglia davidica. Tutti parenti. Saluti, abbracci, medicamenti, boccali di vino, piedi da lavare, ritrovi, incontri, genealogie…
Un ritardo probabilmente impedisce a Giuseppe e Maria di trovare un alloggio adeguato. L’unico che trovano è in una mangiatoia. E’ qui, a motivo di un decreto dell’imperatore e di un viaggio complesso e affaticato che Maria si trova a partorire.
Nessuna circostanza, nessuna restrizione, nessuna imposizione – il decreto di Augusto, la pandemia da Coronavirus… – è avversa all’ingresso di Dio. Anzi, tutto sembra facilitare la sua presenza. La storia non è impedimento. E’ la condizione in cui Dio si rivela.
Nessun limite umano – il ritardo, la famiglia d’origine, il dolore, la violenza – può limitare l’accadere del miracolo. Dio si fa spazio nei grovigli della nostra esistenza. Il protagonista di tutta la vicenda non è nemmeno Cristo. E’ l’uomo “che egli ama” così da riceverne la Presenza e il suo Esserci, nel presente di sempre.
Niente impedisce a Dio di contare nella storia sovvertendo l’ordine del reale con la gerarchia del soprannaturale come canta la nazarena. “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. L’imperatore è il primo censito. Il Figlio di Dio è in fondo alla lista. La nascita dell’ultimo dei censiti è la sola possibilità perché anche Augusto con tutto il suo inutile potere, possa rinascere.
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