Per gentile concessione del curatore del blog Piccole note, Davide Malacaria, pubblichiamo integralmente l’articolo di seguito riportato.
Mentre i media ci inondano di immagini drammatiche provenienti dall’Ucraina, resta un assordante silenzio sulla guerra più dimenticata degli ultimi anni, quella dello Yemen, dove Emirati arabi e Arabia Saudita, armati di bombe, missili e jet (e l’intelligence) Made in Usa da sei anni fanno strame di un Paese per piegare i ribelli Houti, una banda di straccioni che ha osato infrangere la legge non scritta che vuole che tutte le entità politiche del Golfo debbano essere guidate dalle élite sunnite e subordinate a Riad.
Parliamo di ribelli, come sono stati considerati a lungo, salvo poi essere inseriti nella lista delle organizzazioni terroriste dall’Onu su richiesta degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump, tolti poi da tale lista per volere di Biden che però poi ci ha ripensato e ha chiesto che vi fossero reinseriti, cosa avvenuta alcuni giorni fa grazie alla convergenza dell’ultima ora degli odiati russi, che in questo momento di difficoltà devono tenersi buoni i regali del Golfo.
A far cambiare idea a Biden la sollecitazione di Riad e Abu Dhabi, i quali hanno fatto notare all’alleato d’oltreoceano che gli houti avevano osato rispondere ai bombardamenti indiscriminati sulle loro città lanciando due o tre razzetti all’interno dei confini dei Paesi aggressori contro obiettivi legati al petrolio, peraltro avendo prima avvisato la controparte che avrebbero risposto se essi non avessero limitato la portata delle operazioni belliche (cioè, se avessero bombardato un po’ di meno).
La risposta degli houti, peraltro, era avvenuta perché “il conflitto in Yemen si è intensificato da gennaio, con massicce vittime civili e rinforzi militari statunitensi portati d’urgenza nel Golfo”, come scrive George Kerevan sul giornale scozzese The National (già, un giornale scozzese, difficile trovar traccia di questa mattanza altrove…).
Così veniamo alle cifre: nel novembre del 2021, l’Onu avvertiva che le vittime di questa guerra a fine anno sarebbero arrivate alla cifra oscena di 377mila, tra morti per bombe, fame e malattie, perché peraltro questa aggressione infuria contro uno dei Paesi più poveri del mondo e la situazione del Paese è stata più volte definita dall’Onu come il “disastro umanitario” più grave del pianeta.
Gli Stati Uniti, con Biden, avevano deciso di ritirarsi dal conflitto dopo anni di ingaggio a fianco degli aggressori, ma non lo hanno fatto, anzi hanno continuato a vendere armi ai sauditi.
Così al Jazeera: “Il Senato degli Stati Uniti ha bloccato una risoluzione che avrebbe vietato una vendita di 650 milioni di dollari di missili e lanciamissili all’Arabia Saudita. Così, a novembre, la vendita è stata approvata dall’amministrazione Biden”. Ancora al Jazeera: “La vendita di missili segue l’approvazione degli Stati Uniti di un accordo di manutenzione di elicotteri da 500 milioni di dollari in favore del regno [saudita] a settembre”.
Armi difensive, dicono dagli Usa, ma con una guerra, anzi un’aggressione, in corso, la distinzione appartiene alle questioni di lana caprina (vedi il recente attacco a una prigione yemenita, nel quale sono state uccise 80 persone con un’arma made in Usa, come da report di Amnesty).
Nessuno ha paragonato Barak Obama o l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton – la maggiore fautrice di questo ingaggio con i sauditi – o i regali sauditi o emiratini a Hitler quando tutto questo è iniziato né durante la diuturna mattanza.
Nessuno protesta per le bombe che ogni giorno cadono sulle città yemenite e che hanno ridotto la bellissima Sanaa a un cumulo di macerie. A nessuno importa se gli ospedali yemeniti vengono bombardati (Save The Children). Né ha alcuna importanza il fatto che nel conflitto siano stati uccisi o feriti 10.200 bambini, riferisce l’Unicef, aggiungendo che “il numero effettivo probabilmente è molto più alto”.
Nessuna marcia della pace per lo Yemen, nessuna sanzione contro gli aggressori, né l’Occidente ha smesso di comprare petrolio da Riad, così come abbiamo fatto con la Russia, che anzi, venendo meno il petrolio russo a causa delle sanzioni, gli Stati Uniti hanno chiesto a Riad e Abu Dhabi di aumentare la produzione per attutire lo scompenso (ma non gli hanno nemmeno risposto al telefono, a causa dell’impegno Usa per un accordo con l’Iran).
Così non si può che essere lieti dello slancio umanitario che si sta producendo verso i poveri ucraini, né si può non condividere la deprecazione verso l’aggressore o la profusione di dolore che attanaglia i giornalisti inviati in loco. Resta però tragico che tutto ciò agli yemeniti venga negato.
Il problema sta forse nel fatto che gli yemeniti non sono “biondi con gli occhi azzurri”, come da titolo di un articolo di Haaretz che racconta come i media hanno riferito l’esodo dei rifugiati di guerra ucraini. Un articolo del quale riportiamo un passo: “Un giornalista della NBC ha affermato: ‘Questi non sono rifugiati dalla Siria, questi sono rifugiati dall’Ucraina … sono cristiani, sono bianchi, sono molto simili [a noi]’”.
“E un editorialista del quotidiano britannico The Telegraph ha spiegato la sua sorpresa per il fatto che ciò fosse accaduto in Ucraina. ‘Sembrano come noi’, ha scritto. ‘Questo è ciò che lo rende così scioccante. L’Ucraina è un paese europeo’”. Già, qui si tratta di uomini, gli yemeniti evidentemente non appartengono alla categoria, sono sub-umani.
Nel caso dello Yemen, peraltro, non si parla nemmeno di aggressione, ma semplicemente del “conflitto yemenita”, terminologia anodina che evidenzia la potenza della scrittura e del linguaggio.
Né è minimamente rapportabile lo spazio che viene dato alla guerra ucraina rispetto a quella yemenita. E non è solo perché non è una guerra europea, ché la guerra in Iraq (come quella siriana o libica) ha avuto uno spazio più che consistente nell’informazione nostrana, basti pensare ai cronisti estasiati mentre le bombe “intelligenti” americane piovevano senza sosta sulle case di Baghdad (alcuni di questi ora appaiono rattristati per le bombe russe).
Una discrasia che non stupisce. Semplicemente certe informazioni devono essere evidenziate (fino al parossismo) e altre trascurate (fino all’obliterazione) a seconda della convenienza e degli interessi geopolitici del momento. Interessi ai quali i media devono subordinarsi, in toto o in parte, con coraggiose eccezioni che confermano la regola.
Tale il mattatoio della storia umana, per riprendere una nota considerazione di Hegel, e tali le contraddizioni e l’ipocrisia della geopolitica, come le stridenti contraddizioni dell’informazione, che in tempo di guerra stridono di più.
P.S. abbiamo raccolto alcune immagini della tragedia dello Yemen ed in particolare dei bambini travolti da questa macelleria a ritmo continuo. Per la crudezza di alcune di queste fotografie abbiamo preferito non riportarle in questa nota. Chi vuole può visionarle cliccando qui (attenzione, sono particolarmente dure, come la guerra).
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