Tra pochi giorni verrà proiettato in tre sale del Kerala, nella parte meridionale dell’India, il primo film-documentario sulle violenze contro i martiri cristiani di Kandhamal (nello Stato dell’Orissa). P. Ajaya Kumar Singh, noto attivista sociale che lavora tra i sopravvissuti delle violenze del 2008, ha spiegato a Matters India che il film “non solo cattura l’agonia delle persone, ma narra anche le loro peregrinazioni e la lotta per ottenere giustizia”.
Il film, dal titolo “Voce dalle rovine – Kandhamal in cerca di giustizia”, è diretto dal regista K P Sasi. Il lungometraggio dura circa 90 minuti e sarà proiettato in tre serate consecutive, dal 17 al 19 luglio, in altrettante città del Kerala: Thrissur, Kozhikode e Thiruvananthapuram, la capitale statale.
P. Singh ha spiegato l’importanza del documentario, che ripercorre le origini e le motivazioni delle violenze contro i cristiani dell’Orissa. Il distretto di Kandhamal, dove nell’agosto del 2008 è avvenuto il più atroce pogrom contro la comunità cristiana di tutta l’India, è abitato in prevalenza da tribali e dalit. L’odio contro la minoranza non è recente, ha spiegato l’attivista, ma risale almeno agli anni Sessanta, e si è manifestato in successive ondate di persecuzione negli anni ’80, ’90 e 2000.
Gli episodi più gravi però sono avvenuti nel 2008, in seguito all’uccisione dello swami Laxamananda Saraswati, che i radicali indù del Vhp (Vishwa Hindu Parishad) hanno addebitato ai cristiani nonostante i guerriglieri maoisti avessero ammesso la propria responsabilità. Il massacro dei cristiani che rifiutavano di convertirsi alla religione indù si è protratto per diversi mesi. I numeri delle violenze sono ormai accertati: quasi 100 persone uccise; 350 chiese e luoghi di culto distrutti; 56mila persone sfollate, costrette a abbandonare le proprie case e a rifugiarsi nella foresta, dove hanno sofferto la fame e l’indigenza; oltre 6.500 case rase al suolo; più di 40 le donne violentate, tra cui una suora.
Le vittime sono quasi tutte poveri dalit e tribali, ancora in attesa di giustizia. Mentre i criminali sono a piede libero, gli unici in carcere sono sette cristiani, detenuti con false accuse. Di recente un gruppo di avvocati, attivisti, intellettuali e scrittori ha creato un sito internet per dare loro sostegno e impedire che la causa delle vittime venga dimenticata.
Il regista ha dichiarato che il film tenta di “mostrare i problemi dei sopravvissuti, attraverso le loro voci e scene dedicate all’analisi delle origini storiche della violenza. Nel film si vede l’impatto della violenza sui vari strati delle comunità e la lotta dei sopravvissuti che chiedono giustizia”.