Si è svolto il 31 maggio, come di consuetudine l’ultimo lunedì del mese di maggio, il Memorial Day, ossia la giornata in cui gli Stati Uniti d’America commemorano tutti i soldati americani caduti nel corso delle varie guerre.
In tale occasione, molto sentita a livello della popolazione, l’arcivescovo Timothy Broglio (a lato), dal 2007 ordinario militare per gli Usa, ha rilasciato un’intervista a EWTN News In Depth durante la quale ha fatto un’affermazione forte, che ad alcuni potrebbe finanche risultare stonata, data l’aura di stucchevole pacifismo di cui spesso è investito il cattolicesimo negli ultimi anni: i militari, ha infatti detto, «rimangono oggi la più grande singola fonte di vocazioni al sacerdozio negli Stati Uniti».
D’altronde i numeri, in tal senso, sono chiari, secondo quanto rilevato dall’ultimo sondaggio del Centro di ricerca applicata nell’apostolato (Cara): «Il 4% dei consacrati negli Stati Uniti per la classe 2021», ha infatti continuato Broglio citando il documento, «indossava l’uniforme». E, rimanda ancora il rapporto, «circa un ordinando su venti che ha risposto (5%) ha prestato servizio nelle forze armate statunitensi […]» e «uno su nove ordinandi rispondenti (11%) riferisce che uno o entrambi i genitori hanno avuto una carriera militare nelle forze armate statunitensi». Oltre a questi dati sui consacrati, confortano anche quelli relativi ai seminaristi: sono 43 coloro che stanno studiando per una diocesi territoriale o un ordine religioso ma anche per l’arcidiocesi per i servizi militari, e che quindi una volta ordinati avranno la possibilità di prestare servizio nelle forze armate.
Certo, non si tratta di una decisione facile. Perché se è pur vero che alcuni sacerdoti che decidono per questa via vengono incaricati per essere cappellani ospedalieri nei presidi medici che ospitano i veterani di guerra, è altrettanto vero che molti vengono invece inviati là dove la guerra la si combatte: una condizione che Broglio ha definito una «vera sfida» e un «sacrificio tremendo», che può anche comportare la morte per riuscire a portare i sacramenti ai soldati. Oltre al pericolo fisico per la propria vita, poi, per loro è un continuo spostarsi, anche questo non senza pericoli, per poter raggiungere zone e persone diverse, dare conforto spirituale (anche magari a soldati non cattolici), confessare e celebrare la Santa Messa.
E che il ruolo di questi sacerdoti “al fronte”, nel senso letterale del termine, sia di primaria importanza, lo dimostrano proprio le copiose conversioni che si registrano tra i militari: spesso laddove la vita si fa più precaria, è forte l’incentivo ad andare a fondo, a interrogarsi su se stessi e sul mondo.
Tra gli esempi in tale direzione, vi è quello del coreano Cameron Song Sellers, abbandonato a soli tre anni dalla madre dopo la guerra di Corea e quindi adottato da una coppia americana, colonnello militare ora in pensione che, dopo aver servito l’America in zone come la Bosnia, l’Afghanistan e l’Iraq, ha ora deciso di servire il Signore. E poco importa se ha cinquant’anni ed è ancora alle prese con gli studi da seminarista in California: cappellani dell’esercito che, secondo quanto ha affermato in un’intervista anche nel suo caso rilasciata a EWTN News In Depth, «sono molto simili ai medici», «sono misteriosi», «ma quando ne hai davvero bisogno, sei così felice che siano lì» hanno cambiato il corso della sua vita, e lui ha intenzione di rimanere fedele a quello che ha visto. Interrogato sulle motivazioni che l’hanno portato fino a dove è ora, afferma innanzitutto di aver provato sulla propria pelle come i sacramenti lo abbiano guarito, anche nella ferita del suo passato, e aver quindi maturato il desiderio di poterli amministrare a sua volta, dando ad altre persone la possibilità di rafforzare il proprio legame con il Signore. E un’altra domanda dirimente nella scelta invece è stata: «Moriresti per la tua parrocchia?». La risposta è stata: «Sì». Ed eccolo così avviato a diventare miles Christi.
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