«Abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione», ha affermato Mons. Ludwig Schick (foto a lato), Arcivescovo di Bamberga (Baviera), nel corso della Santa Messa celebrata domenica scorsa nella chiesa del Santo Sepolcro. A spingerlo a tale affermazione, la ricorrenza degli 800 anni dalla morte di san Domenico, fondatore dell’Ordine dei domenicani, avvenuta a Bologna il 6 agosto del 1221 e ricordata liturgicamente l’8 agosto, e che Schick ha definito «l’apostolo della nuova evangelizzazione dell’Europa».
Se nei secoli XII e XIII, infatti, la situazione di fede non era rosea, non lo è neppure ora. Anzi, ha continuato il prelato, «soprattutto nell’Europa occidentale, e quindi anche qui in Germania, la vita cristiana con tutte le sue benedizioni per il popolo è in declino».
Ecco quindi l’urgenza di un rinnovamento spirituale, che deve vedere la Chiesa e i laici impegnarsi per far conoscere Cristo al mondo. E questo anche in virtù di un mea culpa intraecclesiale, alla luce del fatto che – ha affermato ancora Schick – con personaggi di chiesa che, ora come al tempo di san Domenico, si dimostrano essere troppo concentrati «su se stessi e sulle proprie sensibilità». Con la conseguenza che «una Chiesa che vive nella propria bolla è inefficace per la gente», e la gente se ne allontana.
Di fronte a tutto questo, la chiave di volta, ha quindi chiosato il prelato, è quella di «essere autentici e vivere ciò che predichiamo»: solamente così, come ci dimostra la storia, la gente tornerà a Cristo, e il mondo alla fede.
IL GIUBILEO PER SAN DOMENICO
Come si diceva, la riflessione proposta da Mons. Schick ha preso spunto per la sua omelia dagli 800 anni dalla morte del fondatore dell’ordine dei domenicani, che in questi giorni è stata onorata con moltissime celebrazioni in diverse zone del mondo.
Per l’occasione, lo scorso 6 gennaio i domenicani hanno aperto l’Anno giubilare, con lo scopo di celebrare e far conoscere questa importante figura, che tanto ha dato e ancora sta dando alla Chiesa, e questo anche grazie ai suoi “figli”. Infatti, come affermava padre Davide Pedone, priore del convento di Bologna dove riposano le spoglie del santo, al Timone (qui): «[…] a me piace dire che è un santo “trasparente”, ma non invisibile. “Trasparente” perché nell’immediato non ci si sofferma su di lui, ma attraverso di lui vediamo la sua opera, che si incarna nei suoi figli (san Tommaso d’Aquino, santa Caterina da Siena, sant’Alberto Magno)».
Anche Papa Francesco non ha mancato di ricordare san Domenico, e lo ha fatto con una lettera inviata a maggio a fra Gerard Francisco Timoner, maestro generale dell’Ordine: «Praedicator Gratiae: tra i titoli attribuiti a san Domenico, quello di “Predicatore di Grazia” spicca per la sua consonanza con il carisma e la missione dell’Ordine da lui fondato. […]», ha scritto il Pontefice. Una caratteristica, quella dell’attenzione all’urgenza della predicazione, che Timoner ha ritenuto di riprendere nell’omelia tenuta la scorsa domenica, 8 agosto, rimarcando come essa sia inesauribile: «San Domenico», ha infatti affermato, «si era donato ad una missione che era opportuna, perché si era reso conto che il mondo aveva bisogno di una nuova evangelizzazione. Eppure la stessa missione è veramente senza tempo, perché ogni generazione ha bisogno di una nuova evangelizzazione, cioè la predicazione di Dio che è sempre antico, ma sempre nuovo».
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