La notizia è rimbalzata su tutte le maggiori testate internazionali: con buona probabilità, ci sarà l’impeachment di Donald Trump. A darne notizia è stata Nancy Pelosi (nella foto in evidenza), speaker della Camera, con un discorso formale tenuto a Capitol Hill. Senza entrare in questa sede nel merito della questione, appare importante soffermarsi ad analizzare una dichiarazione della Pelosi correlata a questo evento: interrogata infatti da un giornalista con un: «Odia il Presidente?», la democratica ha risposto con tono sostenuto e una gestualità già in sé significativa: «Non odio nessuno… Da cattolica, mi risento per il fatto che abbia usato la parola odio in una frase che mi rivolge. Non odio nessuno… Quindi, non scherzare con me quando si tratta di parole del genere». E poi ha aggiunto che prega per Trump.
Il siparietto potrebbe chiudersi qui, e per molti in effetti così è stato, se non fosse che, come hanno rilevato molti cattolici negli Stati Uniti, la Pelosi si dichiara pubblicamente cattolica ed è nel contempo favorevole all’aborto. Una contraddizione lapalissiana, dal momento che è nota la posizione della Chiesa rispetto alla salvaguardia della vita fin dal concepimento. È con il concepimento infatti che – come attesta peraltro in primis la scienza, al di là dell’aspetto confessionale – che una nuova persona entra nel mondo: il fatto di ucciderla volontariamente con l’aborto, come può essere rubricato se non come un atto di odio diretto e premeditato nei suoi confronti?
In proposito è intervenuto anche il vescovo di Tyler Joseph Strickland sul proprio profilo Twitter, affermando: «La signora Pelosi deve capire che circa la metà dei bambini non ancora nati che desidera disperatamente siano uccisi sono ragazze non ancora nate che non avranno mai la possibilità di esercitare un solo singolo diritto, riproduttivo o di altro tipo. Lei nega l’insegnamento cattolico».
Questo episodio appare quindi importante perché permette di riflettere ancora una volta sul ruolo dei cattolici in politica (e, in senso più ampio, nel mondo): quanto la fede deve e può influenzare l’operato di coloro che si professano cattolici? E quanto i principi antropologici che derivano dall’adesione confessionale possono essere portati avanti quali non negoziabili?
A spiegare l’importanza capitale della risposta che si dà a queste domande, stando sempre sull’esempio della Pelosi, sono i fatti: in cosa il suo essere cattolica la distingue nel dibattito sull’aborto dall’operato del senatore democratico Bernie Sanders, che cattolico non è e che proprio qualche giorno fa ha twittato: «L’aborto è un diritto costituzionale, non un privilegio per coloro che possono permetterselo»?
La realtà è che tanti cattolici adulti in tutto il mondo, che scindono in maniera dicotomica la propria vita “pubblica” e la propria vita di fede, interpretano in maniera errata la frase evangelica: «Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Frase che, se letta in ottica di fede, dice ben altro: l’uomo è infatti di Dio, che è il suo Creatore, e quindi è a Lui che deve guardare in ogni attimo, conformando il proprio operato ai Suoi insegnamenti. E questo, seppure sia valido per tutti, è ancora più importante per chi si professa pubblicamente cattolico, a maggior ragione se riveste un ruolo pubblico.
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