In occasione della Pentecoste il vescovo di Ventimiglia – San Remo, Antonio Suetta (nella foto in evidenza), ha diffuso il messaggio Pane e non armi, nel quale ha rivolto a tutti, richiamandosi anche alle nette parole del Pontefice sul tema, un «accorato invito alla preghiera per implorare dal Signore il prezioso dono della pace e per supplicare lo Spirito Santo affinché illumini le menti e le coscienze di tutti i soggetti coinvolti». Il Timone lo ha contattato per un breve commento.
Eccellenza, sul significato da dare al termine “pace” vige spesso una grande confusione: qual è la prospettiva che si addice ai cristiani?
«La prospettiva che si addice ai cristiani è, essenzialmente, che la pace è un dono di Dio. Un dono che dobbiamo implorare con la preghiera, chiedendola appunto a Colui che è la vera pace e che è la fonte della pace».
Spesso tuttavia, anche in ambito cattolico, la pace viene confusa con il pacifismo…
«L’impegno per la pace del cristiano non corrisponde a quello che noi oggi conosciamo come il pacifismo ideologico, bensì comporta innanzitutto un’adeguata analisi della situazione, dalla quale deve derivare la decisione di rimuovere le cause del conflitto, che altrimenti rimane in balia della forza. In tale ottica, a mio avviso, la diplomazia non consiste solamente nel trovare un soddisfacente compromesso tra le parti, ma prima ancora significa accostarsi con intelligenza e con coscienza libera alla ricerca delle cause di un conflitto, per fare in modo che questo possa essere disinnescato nella sua origine».
Qual è, a suo avviso, la causa prevalente della guerra?
«Naturalmente vi sono sempre una serie di concause, ma la causa prevalente credo sia l’ingiustizia. Ingiustizia è un termine che ha un’ampiezza notevole: si va dalle ingiustizie sociali, tra individui, tra nazioni, eccetera fino ad arrivare all’aspetto più profondo, che è l’ingiustizia del peccato, per cui ogni male che flagella la faccia della terra in ultima istanza trova la propria radice negativa in quel male fondamentale che noi chiamiamo peccato, cioè la lontananza da Dio e la disobbedienza alla Sua legge. D’altra parte, lo ha detto anche Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Qual è la pace di Gesù? È la pace profonda del cuore, che vede innanzitutto l’uomo riconciliato con Dio».
Tuttavia, una volta che la violenza è in atto, com’è giusto concepire la legittima difesa?
«La legittima difesa ha delle regole ben precise: considerare che l’attacco sia effettivamente un’ingiusta aggressione, vagliare la proporzionalità delle reazione e valutare adeguatamente tutti quelli che possono essere gli effetti collaterali».
Uscendo ora dallo scenario della guerra in senso stretto, la violenza può esplicarsi anche con parole o con atteggiamenti: in un certo senso, dunque, ce l’abbiamo in “casa nostra” ogni giorno. Come vivere per e nella pace nel quotidiano?
«Innanzitutto bisogna fare in modo di non entrare nella spirale della violenza anche a partire dai livelli “più bassi”, che potrebbero essere quasi impercettibili. Faccio un esempio: oggi sembra quasi esasperata l’affermazione dei diritti e sembra quasi completamente scomparso il richiamo ai doveri; questo squilibro, che si realizza a diversi livelli nel contesto sociale, è già una forma germinale di violenza, perché crea ingiustizia e crea reazione. Spesso sono anche le piccole ingiustizie che spuntano nel contesto di una convivenza che, come una valanga che percorrendo la sua traiettoria cresce, quando esplodono talvolta hanno già dimensioni così significative che diventa difficile contrastarle.
Per cui, secondo il mio punto di vista, l’impegno quotidiano e costante di un cristiano per la pace non è soltanto quello di contrastare e arginare la violenza quando questa si manifesta, ma risiede innanzitutto nella promozione di una vera cultura della pace, che si deve chiaramente ricondurre a quei principi che richiamavo prima: un giusto rapporto con Dio, innanzitutto, e anche una fondamentale etica alla quale la persona deve riferirsi».
In tal senso la pace non è una sorta di “bene minore”, bensì un obiettivo imprescindibile…
«Assolutamente. Quando si parla della pace ritengo sia corretto intenderla nell’approccio che ne ha la Sacra Scrittura, cioè la pace intesa come la somma, la sintesi, il frutto di tutti i beni. Quando la Scrittura parla di pace, parla esattamente di questo: di una completezza della vita dell’uomo che è data dal Bene, dalla Verità, dalla prosperità, da una giusta relazione e rapporto con Dio… tutta una serie di dimensioni che sono essenziali per la vita dell’uomo e che devono essere adeguatamente custodite e coltivate. Questo fa sì che l’esito, per la vita dell’uomo, sia quello della pace. Se la pace non la si concepisce così, la si considera solamente – come oggi fa la maggior parte delle persone, e purtroppo anche la maggior parte delle istituzioni – come un difficile, se non impossibile, tentativo di equilibrio tra forze contrastanti».
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