Monsignor Dominique Rey in questa intervista rilasciata a Boulevard Voltaire parla della crisi che stiamo attraversando, la fondatezza del cristianesimo, il laicismo alla francese e il pericolo di radicalizzazione. Proponiamo di seguito uno stralcio con una nostra traduzione di lavoro.
La nostra società sta attraversando molte crisi che causano preoccupazioni per il futuro. Come mantenere la fiducia in un mondo in cui la violenza, l’insicurezza, la disoccupazione, la paura del virus, la privazione della libertà disturbano la nostra pace?
«“La speranza è la disperazione vinta”, ha scritto Bernanos. Questi momenti angoscianti sono un’opportunità per guadagnare “altezza”, per raccontare a Dio quanto succede, per cercare di trovare un senso in ciò che non ne ha davanti agli occhi dei nostri contemporanei. Questa crisi, con queste domande sulla morte e sulle fragilità che ci esplodono in faccia, ci conduce al realismo e all’umiltà. È la questione della speranza cristiana ad essere in gioco: avanziamo verso Dio quando siamo messi a terra. Questa crisi che stiamo attraversando è un’opportunità per tornare alle origini. Il cristianesimo è nato dalla morte, è uscito da una tomba. Il cristianesimo trasformò la tomba in una culla. In un mondo a cui manca un orizzonte, il cristianesimo, riportandoci alle origini, ci offre una prospettiva».
La Francia, figlia maggiore della Chiesa, è alle prese con un duplice fenomeno di scristianizzazione e aumento della radicalizzazione. L’Islam è una minaccia o una sfida?
«È prima di tutto una sfida che può diventare anche una minaccia. Una sfida perché geograficamente, sociologicamente, demograficamente, questa è una realtà che ci è indiscutibilmente imposta. Come aprire una strada tra un relativismo e un fondamentalismo che assoggetta Dio a un’immagine di violenza? È su questa linea che si colloca la testimonianza cristiana, che è per noi una sfida e un timore se non prendiamo la misura esatta della nostra identità cristiana e della nostra missione per poter testimoniare attraverso l’annuncio e il dialogo».
Si alzano alcune voci politiche per relegare la religione alla sfera privata per combattere il separatismo. Cosa ne pensa di questa concezione della laicità?
«Questa è una pessima risposta perché la religione ha una dimensione pubblica. Essere un cristiano non è solo dire la tua preghiera o esaminare la tua coscienza in privato. Vogliono sottomettere il cristianesimo all’individualismo circostante. Il cristianesimo fa parte della coscienza personale, dell’intimità dell’anima, ma implica una relazione con l’altro e si esprime; è la sua vocazione. Sarebbe negare il cristianesimo relegarlo alla coscienza individuale. Sarebbe tagliarlo fuori dalla sua espressività e, quindi, da questa dimensione di missione. […] Non dobbiamo dimenticare che il DNA del cristianesimo è quello di andare in tutte le nazioni per fare discepoli».
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