«La legge di Dio è superiore a quella della Repubblica». Non si può dire che non sia stato chiaro e diretto Mons. Marc Aillet, vescovo della Diocesi di Bayonne, nel sud della Francia, in un’intervista rilasciata a France Catholique.
L’affermazione di Aillet è una risposta a quanto sostenuto dal ministro dell’Interno Gerald Darmanin sulla Carta dei principi dell’Islam della Francia, secondo il quale i credenti dovrebbero considerare la legge della Repubblica superiore alla legge di Dio, ma s’inserisce nel dibattito attorno alla legge-fiume in «sostegno dei principi della Repubblica», pensata e portata avanti in ossequio alla laicità; presentata sul finire dello scorso anno, tale legge lo scorso 16 febbraio è stata approvata dall’Assemblea nazionale e ora è passata al Senato, ma nel frattempo ha già sollevato numerosi commenti critici rispetto alle limitazioni alla libertà religiosa e di educazione che va a determinare.
Ebbene, afferma il prelato, seppur probabilmente il riferimento di Darmanin era indirizzato alla sharia, è altresì vero che «il ministro dell’Interno sembra estenderlo a tutte le religioni. Rompendo con la neutralità dello Stato, ci porterebbe così a passare da un regime di separazione a un regime di subordinazione. L’affermazione è in questo senso inaccettabile perché porta semplicemente a negare la libertà di coscienza […], peraltro garantita dalla Costituzione. Per noi cattolici, la legge di Dio è inscritta nella coscienza dell’uomo, non sostituisce la legge umana, bensì ne costituisce la misura ultima».
Questo in quanto «la Repubblica non può in nessun caso abbracciare l’intera vita umana senza ledere gravemente le sue libertà fondamentali». Infatti, non guardando al bene comune, va da un lato a limitare la possibilità dei singoli cittadini di agire già in terra in funzione della vita eterna, rinchiudendoli negli stretti vincoli di un umanesimo immanentista puramente orizzontale, terreno; e dall’altra impone una «concezione positivista del diritto in cui l’apprezzamento del bene e del male dipenderebbe dalla sola arbitrarietà del Principe o di una maggioranza democraticamente eletta»: un errore, questo, come denunciato già da papa Pio XII a metà del secolo scorso, che «è alla base dell’assolutismo dello Stato e che equivale a una deificazione dello Stato stesso».
CHIESA USA CONTRO L’EGUALITY ACT
Nel frattempo, Oltreoceano 5 vescovi presidenti delle Commissioni della Conferenza episcopale americana hanno indirizzato una lettera – datata 23 febbraio – ai membri del Congresso dicendosi «preoccupati» per l’Eguality Act fortemente promosso da Nancy Pelosi, Kamala Harris e Joe Biden, e che è stato approvato alla Camera giovedì 25 febbraio: una legge sostanzialmente pro-Lgbt e abortista che, sostengono i vescovi, va contro la dignità intrinseca di ogni uomo, oltre a rappresentare un feroce attacco innanzitutto alla libertà religiosa, ma anche alle libertà di espressione e di educazione. Anche in questo caso, la palla ora passa al Senato.
LA CHIESA NON DEVE TACERE
Di fronte a questi commenti da parte di esponenti ecclesiastici vi è chi – in Francia, come in America, come altrove – lamenta un’indebita ingerenza. Un’accusa, tuttavia, non fondata: i cattolici, e con essi i loro pastori, sono chiamati a «essere nel mondo senza essere del mondo» (cfr. Gv 15, 18-21), giudicando la realtà – politica, sociale, economica, etc. – secondo una prospettiva cristiana; ben vengano quindi i richiami dei vescovi e dei sacerdoti a leggere con uno sguardo conforme agli insegnamenti di Cristo quelle leggi che, sotto il cappello sempre più ampio dell’ossequio alla “democrazia” e ai dettami variamente declinati della “Liberté, Égalité, Fraternité”, mirano a costruire una società sempre più laica e lontana da Dio. E una società dunque, in definitiva, anche sempre più aliena dalla legge naturale e lontana dal vero bene ultimo per tutti gli uomini, fatti a immagine del Creatore.
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