«Possiamo noi pastori parlare a bassa voce quando il sangue di 60 milioni di bambini americani innocenti chiede giustizia?Quando le loro madri sono condannate al silenzio, subendo segretamente le ferite della cultura della “libera scelta”?». Si tratta ovviamente di una domanda retorica, la cui risposta è assolutamente chiara per il vescovo di San Francisco, Salvatore J. Cordileone, autore lo scorso 5 settembre di un lungo articolo pubblicato sul Washington Post, dal titolo: Il nostro dovere di sfidare i politici cattolici che sostengono il diritto all’aborto.
La voce, non sparuta e sola sola, di Cordileone s’inserisce all’interno di un dibattito, che è stato anche oggetto di approfondimento sul Timone n. 207 dello scorso giugno, che ruota attorno alla domanda: un cattolico che pubblicamente sostiene l’aborto, ancor più se politico, può accostarsi alla Santa Comunione? La tematica è calda, perché a essere direttamente toccato dalla questione, su tutti, è lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Proprio colui che, come scrivevamo ieri, annunciando un attacco alla recente legge pro-life texana che vieta l’aborto dopo la sesta settimana, ha dichiarato di non credere che la vita inizi dal concepimento. Il che, oltre che una grave mancanza a livello basico di dottrina della fede nella quale afferma di riconoscersi, costituisce peraltro un’ammissione di totale ignoranza sotto il profilo scientifico. Ma tant’è.
Tornando al contributo di Cordileone, esso prende spunto proprio dall’attualità della nuova legge sull’aborto del Texas, che tanto è stata accolta con giubilo dal mondo che si batte in difesa della vita nascente, tanto è stata duramente contestata da politici – ma anche opinionisti, etc. – che si dicono in favore dell’autodeterminazione della donna e della libertà di scelta (sempre per la donna, il bambino non viene considerato quale portatore di dignità). «Come leader della fede nella comunità cattolica», ha scritto il prelato, «trovo particolarmente inquietante che così tanti politici dalla parte sbagliata della preminente questione dei diritti umani del nostro tempo siano cattolici autoproclamati». Di qui l’urgenza di far sentire la propria voce, in qualità di vescovi degli Stati Uniti. E a tutti coloro, come nei mesi scorsi attorno al dibattito sulla coerenza eucaristica, lamentano una indebita ingerenza della Chiesa nel mondo della politica, Cordileone risponde con un secco «Vedo le cose in modo diverso», per poi riportare l’esperienza dell’arcivescovo di New Orleans Joseph Rummel, che nel secondo dopoguerra si batté in prima persona affinché le segregazioni raziali tra bianchi e neri che segnavano la vita della Chiesa venissero rimosse. Un gesto controcorrente, che molti tra gli stessi cattolici non compresero.
«La segregazione razziale in quanto tale è moralmente sbagliata e peccaminosa perché è una negazione dell’unità e della solidarietà della razza umana come concepita da Dio nella creazione di Adamo ed Eva», dichiarò nel 1956. Dichiarazione cui non mancò di far seguire qualche mirata scomunica, diretta a chi rivestiva ruoli importanti e aveva una posizione desegregazionista.
Ebbene, si domanda Cordileone, Rummel ha forse sbagliato? No, semplicemente ha agito coerentemente ai principi cattolici fondamentali. Esattamente quanto si propongono lui e gli altri vescovi impegnati nella sua stessa “buona battaglia” per la Verità, che risulta di certo scomoda, ma è assolutamente necessaria. Perché, rileva il prelato a mo’ di chiosa: «Nel nostro tempo, cosa potrebbe essere una “negazione dell’unità e della solidarietà del genere umano” più eclatante dell’aborto», che uccide essere umani innocenti?
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