Mentre la maggior parte dei media, e con loro delle persone, hanno già incoronato Joe Biden quale 46° presidente degli Stati Uniti d’America e attendono il suo insediamento per il prossimo 20 gennaio, in casa cattolica la figura del settantottenne scelto a guida dei Democratici, già braccio destro di Barack Obama, continua a interrogare… e a dividere.
Sul tema, l’arcivescovo emerito di Filadelfia, Charles Joseph Chaput (foto a lato), ha pubblicato su The First Thing un articolo dal titolo Mr. Biden e la questione dello scandalo, che si presenta come un monito per i fedeli, ma soprattutto per la gerarchia ecclesiastica statunitense.
Il pezzo, molto articolato e preciso nei riferimenti, si apre con un parallelismo tra la situazione venutasi a creare oggigiorno e le elezioni presidenziali del 2004, che vedevano contrapposti il repubblicano, e poi vincitore, George W. Bush, e il democratico John Kerry. In quel frangente, annota Chaput, «credevo, e credo ancora, che negare pubblicamente la Comunione ai funzionari pubblici non sia sempre saggio o sia la migliore condotta pastorale. Farlo in modo forte può causare più danni che benefici, invitando il funzionario a crogiolarsi nel bagliore mediatico del vittimismo».
Una considerazione, questa, rispetto alla quale, tuttavia, la posizione della Chiesa è stata chiarita con la pubblicazione della nota Degno di ricevere la Santa Comunione: Principi generali, trasmessa nel giugno di quello stesso 2004 da Joseph Ratzinger, a quel tempo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, all’ormai ex cardinale Theodore E. McCarrick, il cui nome è tristemente noto, e all’arcivescovo Wilton Gregory, allora presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Nel testo si spiegava che «riguardo al grave peccato dell’aborto o dell’eutanasia, quando la cooperazione formale di una persona diventa manifesta (intesa, nel caso di un politico cattolico, come la sua costante campagna elettorale e votazione per le leggi sull’aborto permissivo e sull’eutanasia)», il pastore dovrebbe incontrare e istruire la persona rispetto alla dottrina della Chiesa, invitandola a riconciliarsi con il Signore, uscendo dal peccato, e avvisandolo circa la possibilità di vedersi negata l’Eucarestia. Se questo non fosse stato possibile, o se la persona in questione avesse continuato a presentarsi alla Santa Comunione, allora era lecito per il celebrante, negargliela. Non come punizione o come giudizio sul suo peccato soggettivo, bensì in reazione a una situazione di pubblica indegnità del poter ricevere il Corpo di Cristo.
Ebbene, continua Chaput, «per quanto ne so, tale dichiarazione rimane in vigore. E riflette la disciplina sacramentale cattolica di lunga data basata sulla Parola di Dio». Constatazione, questa, che porta il prelato ad affermare che Biden, che in virtù delle sue posizioni pubbliche su tematiche quali l’aborto, i matrimoni omosessuali, dei diritti transgender (anche per i bambini), mostra di non essere in comunione con la Chiesa cattolica e che «ha detto che continuerà a portare avanti quelle stesse politiche in qualità di presidente», aprendo così la strada a gravi danni morali, «non dovrebbe ricevere la Santa Comunione».
Di qui, Chaput muove un appello ai suoi confratelli, sottolineando che non si tratta di una questione “politica”, bensì di una «responsabilità unica dei vescovi davanti al Signore per l’integrità dei sacramenti», oltre che alla «preoccupazione pastorale per la salvezza di un uomo»: quei vescovi, afferma, che si fanno “alleati” dei comportamenti di Biden e che dichiarano che gli consentiranno di fare la Comunione, danno «scandalo ai loro fratelli vescovi e sacerdoti, e ai tanti cattolici che lottano per rimanere fedeli all’insegnamento della Chiesa. Ciò danneggia la conferenza episcopale, il significato di collegialità e la fruttuosità del lavoro di difesa della conferenza con l’amministrazione entrante».
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