Sono giorni ed ore, questi, di forte preoccupazione per il picco straordinario di marea che ha colpito Venezia, causando anche due vittime in aggiunta agli enormi danni. Danni che hanno riguardato – come testimoniano le immagini televisive che hanno ammutolito tutti – anche la chiesa veneziana per eccellenza, la Basilica di San Marco, che dà il nome alla celebre piazza antistante, da molti ritenuta la più bella del mondo.
Ebbene, pur avendo riportato molti danni pare che la Basilica possa non averne subiti di irreparabili. Questo, almeno, viene da pensare dalle parole del procuratore della Basilica stessa, Pierpaolo Campostrini, il quale ha dichiarato all’agenzia Ansa: «Siamo stati a un soffio dall’Apocalisse, a un pelo dal disastro». Staremo dunque a vedere gli sviluppi della vicenda veneziana, anche se di una cosa possiamo essere certi: l’incantevole città veneta e la sua chiesa ne hanno vissute di peggiori. E non si riferiamo solo alla marea del 1966.
L’allusione, qui, è infatti ad un altro fatto storico di certo noto a chi risiede in Laguna ma molto meno, c’è da scommettere, a tutti gli altri. Stiamo parlando di quanto accadde a Venezia nel lontano 972 quando, in seguito ad una rivolta popolare contro il doge Pietro Candiano IV, un incendio devastò la chiesa primitiva, l’antenata, per capirci, della Basilica che tutti conosciamo e ammiriamo. Oltre alla struttura, le fiamme si presero anche il corpo di san Marco, nel senso che si perse traccia delle reliquie dell’evangelista.
Per i veneziani di allora, lo shock – comprensibilmente – fu davvero tremendo. Si temeva che l’incendio avesse distrutto per sempre la salma del santo, anche se la totale assenza di tracce fece, in un secondo momento, propendere per il furto. Le ipotesi insomma si accavallavano in un crescendo di panico e sconcerto ma intanto, nonostante il trascorrere degli anni, il corpo non si trovava. Niente di niente. Cosa che alimentò una vera e propria disperazione cittadina alla quale non pareva esserci umano rimedio.
Così, quando tutto sembrava ormai perduto, nel giugno del 1094, il doge Vitale Falier stabilì un digiuno di tre giorni con precessione solenne nel quarto affinché Venezia potesse riavere il suo tesoro perduto. Una decisione che oggi molto probabilmente susciterebbe i risolini dei tanti scettici che popolano i media. Invece i veneziani di allora presero l’idea del doge molto sul serio. Nei documenti locali viene infatti raccontato il fervore del popolo che invocava con preghiere e lacrime il miracolo.
Ebbene, il sospirato prodigio avvenne: il 25 giugno, una delle poche colonne rimaste dell’antica chiesa vide le proprie pietre muoversi, lasciando apparire l’arca dove giaceva la salma dell’evangelista. Per Venezia fu una vera e propria rinascita, seguita da gioia e festeggiamenti. Ora, che insegna questo episodio? Tante cose, evidentemente. La prima è la resistenza – persino agli eventi più avversi – del culto marciano.
Il secondo insegnamento, più generale ma non per questo meno importante, è legato alla potenza sottovalutata di devozione e preghiera. Forze in grado, ci assicura il Vangelo, di smuovere le montagne. Motivo per cui, nonostante la situazione drammatica di questi giorni, conviene non perdersi d’animo e pregare per Venezia. Perché nessuna marea, neppure la più impetuosa, può nulla contro l’oceano della fede.
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