Come tutti i paesi europei e non solo, anche la Polonia fa i conti con il coronavirus, e con essa anche la Chiesa polacca. Le messe con il popolo non sono state sospese, anche se la partecipazione è stata drasticamente ridotta. Per questo in una nota il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca ha esortato a moltiplicare le celebrazioni: «Nella situazione attuale, vorrei ricordare che proprio come gli ospedali curano le malattie del corpo, così le chiese servono, tra le altre cose, a curare le malattie dell’anima, quindi è inimmaginabile per noi non pregare nelle nostre chiese», ha scritto il presidente della Kep, Stanisław Gądecki, in una nota. E mentre in queste ore circolano le immagini di un sacerdote polacco che, sull’esempio dei “colleghi” americani, confessa in modalità drive, noi abbiamo fatto due chiacchiere con monsignor Slawomir Sledziewski e monsignor Tomasz Trafny , sacerdoti polacchi residenti in Italia
La Settimana Santa ai tempi del coronavirus. Quali misure sono state adottate in Polonia e come sono state accolte?
«Non c’è dubbio che in Polonia, come anche in molti paesi, il Triduo Sacro e la Pasqua saranno segnati dai profondi cambiamenti sociali che già stanno incidendo anche sulla vita liturgica della Chiesa. Per ciò che riguarda le misure adottate, bisogna dire che a prima vista potrebbero sembrare molto restrittive. Infatti, vengono seguite le disposizioni governative che limitano la partecipazione alla Santa Messa o a qualsiasi altro rito religioso a un numero di soli 5 persone contemporaneamente, senza contare coloro che svolgono il ministero».
In quale clima sono state prese le decisioni dai vescovi polacchi? Ci sono state tensioni con le autorità civili o il Governo?
«Bisogna notare, che la prima reazione della Conferenza Episcopale Polacca nella persona del suo Presidente, Arcivescovo Stanisław Gądecki, è stata molto tempestiva e precedente alle decisioni ufficiali delle autorità governative. Senza dubbi tutto ciò sorse sulla scia della situazione venutasi a creare in precedenza in alcuni paesi. Il primo comunicato ufficiale, infatti, dell’Arcivescovo Gądecki risale al 28 febbraio scorso, ovvero quasi una settimana prima che si verificasse il primo caso di contagio, riscontrato il 4 marzo. Già con questo primo documento il Presidente incoraggiava il clero e i fedeli a prestare particolare attenzione al mantenimento delle norme igieniche di base e offriva diverse indicazioni su alcuni accorgimenti da adottare. In tutto ciò non c’è alcun tipo di tensione tra la Conferenza Episcopale e le autorità di governo, anzi, si registra una condivisa sintonia sul bisogno di un clima di serenità e di collaborazione per il bene di tutti. Anche per questo, la Commissione della Dottrina della Fede della Conferenza Episcopale Polacca, ha pubblicato un documento in cui mette in guardia contro coloro che in questo periodo così delicato, possano tentare di strumentalizzare i sentimenti e convinzioni religiosi per diffondere le visioni fataliste, incutere sfiducia e paura»
Quale è il punto di equilibrio tra la necessaria prudenza e l’esercizio pubblico della fede?
«È difficile tracciare una precisa linea di demarcazione. Abbiamo a che fare con una situazione nuova e il fenomeno del Covid-19 è ancora soggetto agli studi che cercano di comprenderlo in pieno. Ed è per questo che per adesso sembra saggio far prevalere il principio di prudenza».
Ci può spiegare perché teologicamente assistere ad una messa in televisione o on line non equivale a parteciparvi di persona se non si fa la Comunione?
«Giovedì Santo contempliamo in modo particolarmente solenne l’istituzione dell’Eucaristia che, come sappiamo, è avvenuta in un contesto specifico del pasto pasquale e in una cornice di convivio. Con il tempo la Chiesa prese coscienza della profondità dei significati nascosti nell’Eucaristia. Uno di essi è proprio legato al concetto della “Communio”. L’Eucaristia non solo attua il mistero salvifico della passione, morte e risurrezione di Cristo, ma ci rende intimamente partecipi nella vita di Cristo creando una forte comunione con Lui e con i fratelli. Infatti, la partecipazione nello “spezzare il pane”, nel comunicare il pane eucaristico, ci unisce intrinsecamente con il Signore e con i fratelli. Si tratta di una dimensione che spesso sembra “spenta” o poco percepita. In realtà, l’Eucaristia ci inserisce sia nella dinamica salvifica sia in quella comunitaria (sociale) che per poter essere pienamente vissuta ha bisogno di una comunità e di una vicinanza fisica. Per questo c’è una differenza essenziale tra la partecipazione personale e comunitaria nella celebrazione eucaristica, e l’unione spirituale “a distanza”, tramite i mezzi tecnologici. Anche se nessun paragone possa veramente esprimere la differenza, e rendere il concetto, è come se si partecipasse di persona al banchetto nuziale, in piena comunione con chi gioisce e celebra il dono e il mistero dell’amore oppure essere vicini con una videochiamata o trasmissione televisiva».
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