Per la seconda volta la fiera americana dell’utero in affitto organizzata da “Men Having Babies” è approdata sul suolo belga. Questa volta ha avuto luogo in una sede di alto livello: il salone dell’Hotel Hilton a Bruxelles è diventato il palcoscenico dove sono stati accolti 220 potenziali clienti di 12 paesi europei.
Come l’anno scorso, io ero presente. Io, cioè la prima bambina semi-biologica prodotta per adulti della mia generazione. Quando i medici specializzati in tecniche riproduttive hanno scoperto che i metodi usati per i maiali potevano essere utili anche per le coppie eterosessuali sterili, è cominciato un business molto redditizio. Le tecniche riproduttive sono migliorate e non molto tempo dopo hanno raggiunto nuovi destinatari: donne single e coppie lesbiche.
Descrivendo la mancanza di figli non voluta come un’ingiustizia discriminatoria, diverse comunità Lgbt hanno insistito perché anche uomini gay e donne transgender potessero avere figli biologici. «Perché la natura è così omofoba» (citazione di un aspirante genitore).
Domenica c’era praticamente di tutto in vendita: interpreti linguistici, gadget, listini prezzi, formule diversificate, cose da fare e da non fare, ma anche discorsi promozionali capaci di andare dritti al cuore e al portafogli, tenuti da compagnie in grado di connettere direttamente chiunque con ovuli, utero in affitto e agenzie legali per «trasformare ogni sogno in realtà». Gli avvocati squadernavano metaforicamente la road map per aggirare le leggi e portare «legalmente» nel proprio paese i bambini acquistati.
Quest’anno Men Having Babies ha anche presentato una «cornice etica» per convincere gli oppositori delle loro intenzioni oneste e sincere. Si sono spacciati per organizzazione non-profit che mira a fornire agli uomini gay strumenti e mezzi per perseguire il loro diritto a una famiglia biologica. Il fatto che i loro sponsor principali, guarda caso, siano quei centri di fertilità e studi legali che vengono consigliati ai 220 clienti non costituisce evidentemente per loro un conflitto di interessi.
L’utero in affitto è stato descritto come «l’atto di una donna, altruistico per natura, che porta in grembo un bambino per un altro individuo, o coppia, con l’intento di consegnare il bambino agli aspiranti genitori alla nascita». Personalmente io lo descriverei come l’appalto a terzi di una gravidanza personalizzata che miri al commercio/adozione di un bambino concepito tramite donatore e ordinato attraverso il pagamento di una parcella (molto onerosa). È stata inaugurata una nuova terminologia per descrivere la transazione o l’atto nel modo più affaristico possibile: la madre surrogata è stata chiamata «portatrice», la donatrice di ovuli «donatrice di materiale genetico». Molte agenzie offrivano anche opzioni “soddisfatti o rimborsati” (non è uno scherzo) e “pacchetti con cicli multipli”.
Adozione? Meglio la surrogata
Più di una volta hanno sconsigliato l’adozione perché al giorno d’oggi non ci sono molti bambini piccoli da adottare e la probabilità che la madre decida di tenersi il “suo” bambino è un rischio troppo alto da correre. L’utero in affitto, invece, costituisce la salvezza. È stato fortemente consigliato l’utilizzo di ovuli di donne diverse dalla madre surrogata, perché così è più facile che la madre gestante consegni il bambino. Ma il contratto di 50 pagine è vincolante e ti dà la garanzia che potrai portati via il bambino una volta venuto alla luce. Il contratto permette anche di interrompere i pagamenti qualora la surrogata non rispetti i termini. Non posso non ricordare che molti contratti hanno una clausola di riservatezza: questa proibisce alle donne di parlare pubblicamente di qualsiasi abuso possano subire durante il processo.
Molto tempo e attenzione sono stati dedicati a rassicurare i clienti che i bambini verranno concepiti sani per quanto possibile. La selezione del genere del bambino è inclusa in questo «servizio». Sono rimasta costernata quando un dottore specializzato in tecniche riproduttive ha chiesto alla platea chi avrebbe scelto di abortire un bambino nel caso presentasse un difetto. La maggior parte delle mani si è alzata in aria. Per la cronaca: anche l’aborto può essere incluso come obbligatorio nel contratto.
A parte la retorica del “voglio un figlio il più sano e perfetto possibile”, il benessere del bambino era un argomento – come accade in Belgio – solo in caso di incertezza legale causata dal conflitto tra la discendenza biologica e il tentativo di reclamare la genitorialità legale. Solo due volte, e molto brevemente, alla fiera dell’utero in affitto sono stati menzionati gli interessi del bambino per quanto riguarda la sua origine e il suo diritto all’identità. Ma sono stati subito contrapposti ad argomenti pratici ed economici.
È tutto già in commercio
È impressionante e davvero ipocrita constatare il fatto che per la seconda volta in due anni alcuni politici belgi abbiano cercato la ribalta mediatica esprimendo il loro personale disgusto a proposito di questo evento. Ma intanto si rifiutano di vedere che simili pratiche avvengono comunque lontano dai riflettori: a quanto pare una cosa è etica quando i prezzi sono abbordabili, la trasparenza non è richiesta e non vengono distribuite brochure accattivanti.
Un esperto di bioetica una volta mi ha detto che qualcosa non è etico quando le azioni di qualcuno danneggiano un altro. Creare intenzionalmente esseri umani e privarli non solo delle loro informazioni vitali e fondamentali circa se stessi, ma anche di rapporti significativi con le loro famiglie biologiche, è secondo me l’unica cornice etica che deve essere considerata quando si pensa se permettere l’utero in affitto o l’inseminazione artificiale.
Disgustati dall’evento americano, è tempo di riflettere e di rendersi conto che da decenni stiamo violando i diritti umani in casa nostra, avendo permesso la commercializzazione di una genitorialità alternativa a spese di coloro che sono stati concepiti solo per soddisfare il desiderio personale di un adulto.