Il 17 maggio e come da copione scattano unanimi e con prontezza militaresca le celebrazioni della cosiddetta “Giornata contro l’omofobia” che quest’anno, come il virus che va tanto di moda, ha pure le varianti, infatti è la “Giornata contro l’omo bi e transfobia”. E così l’arcobaleno a sei colori spunta in tutti luoghi e in tutti i laghi al grido di «lotta alle discriminazioni», qualunque cosa voglia dire questa espressione. Alla Farnesina, per esempio, sì, la sede del Ministero degli Esteri, vuol dire esporre all’esterno un enorme bandierone arcobaleno, poiché, fanno sapere in una nota, la “lotta alle discriminazioni” è considerata una priorità (d’altra parte abbiamo solo una guerra nel cuore dell’Europa, quale può essere la priorità di un Ministero degli esteri se non il mondo Lgbt?)
Per il Governo italiano significa inviare una circolare in tutte le scuole di ogni ordine e grado esortando a celebrare questa giornata arcobaleno friendly, mentre al liceo artistico Nervi Severini di Ravenna significa istituire il registro “gender free”, ovvero la possibilità per uno studente di chiamarsi, farsi chiamare ed essere segnato sul registro elettronico con il nome che indicherà, con il genere che indicherà, con la variante che preferirà e… per il tempo che vorrà. Il preside Gianluca Dradi , 60 anni, avvocato e docente di diritto, ex assessore Pd a Ravenna, dirigente scolastico da dieci anni spiega che «Ci sono ragazzi che vestono con fogge femminili e ragazze che hanno chiesto ai docenti che ci si riferisca a loro al maschile. Questi ragazzi sono già accolti in modo positivo, in classe i docenti rispettano la loro richiesta di essere chiamati con un altro nome non coerente con il proprio sesso biologico. Ma un conto è concederlo e un conto è riconoscerlo come diritto».
Quindi il preside spiega che non siamo di fronte ad alcuna discriminazione, anzi, i ragazzi sono già accolti e tutti li chiamano già ora come desidera eppure, in barba alla realtà, ciascuno potrà cambiare il proprio nome anche sui documenti ufficiali della scuola. Be’, non c’è che dire, grandi conquiste. Come confondere una generazione che già brancola nel buio. Secondo l’istituto si tratta, si legge in una nota di «un accordo tra scuola, studente e famiglia per favorire il benessere psicologico della persona che, vivendo una situazione di varianza di genere, può vedersi riconosciuto il proprio vissuto attraverso il diritto a essere nominato/a, in ambito scolastico, col nome di elezione».
Al bando la carta di identità? Non solo, al bando la realtà. Anche se, diciamolo, ormai non fa nemmeno più notizia. La notizia casomai sarebbe una giornata che celebri il buon senso, oppure, per dirla alla Chesterton «l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto». Insomma una giornata per ricordare che esiste il sesso e non il gender e che noi rimaniamo maschi e femmine indipendentemente da eventuali registri gender free o bandiere arcobaleno.
Come, duole ammetterlo, purtroppo è realtà il fatto che l’ideologia gender è già oggi nelle scuole, in barba al consenso informato. Con l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico della legge sulle cosiddette unioni civili chiunque può fare legittimamente riferimento ad un modello di famiglia omosessuale insegnando a scuola e per farlo non ha bisogno di progetti extracurricolari o giornate dedicate. Così è, se vi pare.
D’altra parte la presidente della Banca Centrale Europea, Christina Lagarde, su Twitter ha postato una sua foto con una spilletta arcobaleno, come fosse ad un Sanremo qualsiasi: «L’amore è amore», ha scritto, manco fosse un Maneskin che passa da Torino per caso. E non è possibile dissentire, poiché, come ha cinguettato il piddino Zan (alle prese col secondo tentativo della legge omonima), chi non si allinea è omofobo. Chi si allinea, invece, quest’anno avrà portato a casa il registro “gender free” in una scuola superiore, potevamo forse farne a meno?
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