I 19 martiri cattolici uccisi in odium fidei in Algeria tra il 1994 e il 1996 saranno proclamati beati il prossimo 8 dicembre nel santuario algerino di Notre-Dame di Santa Cruz, a Orano, diocesi allora guidata dal vescovo Pierre Claverie, l’ultimo del gruppo a subire il martirio.
La loro storia si colloca negli anni della guerra civile che insanguinò l’Algeria (1991-2002), causando decine di migliaia di vittime tra militari e persone comuni. Quel conflitto era scoppiato dopo l’ascesa alle elezioni del 1991, poi annullate dal governo, dei fondamentalisti sunniti del Fronte islamico di salvezza (Fis) e il successivo colpo di Stato di alcuni generali dell’esercito. Verso la fine del 1993, il Gruppo islamico armato (braccio militare del Fis) aveva ordinato a tutti gli stranieri residenti in Algeria di lasciare il paese. Ma i religiosi cattolici, una minuscola minoranza nella regione nordafricana che aveva dato i natali a sant’Agostino e pullulava di cristiani prima delle invasioni islamiche del VII secolo, decisero di rimanervi volendo condividere le sorti di quel popolo e aiutarlo sulla via del perdono reciproco e della pace, pur sapendo di rischiare la vita.
I primi a subire il martirio, l’8 maggio 1994, furono il marista Henri Verges e suor Paul-Helene Saint-Raymond delle Piccole suore dell’Assunzione, uccisi ad Algeri nella biblioteca della Casbah. Il seguente 23 ottobre, sempre nella capitale e precisamente nel quartiere popolare di Bab el Oued, vennero assassinate le missionarie agostiniane Esther Paniagua Alonso e Caridad Alvarez Martin. Il 27 dicembre fu la volta del sacrificio supremo di Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard e Christian Chessel, quattro Padri bianchi uccisi a Tizi Ouzou. Il 3 settembre dell’anno successivo trovarono la morte ad Algeri le religiose Bibiane Leclercq e Angele-Marie Littlejohn, entrambe appartenenti alle Suore di Nostra Signora degli Apostoli, e il 10 novembre suor Odette Prevost delle Piccole suore del Sacro Cuore.
Nel 1996 avvenne l’episodio più noto di queste persecuzioni, ossia il martirio dei sette monaci trappisti di Tibhirine, le cui vite sono state poi narrate nel film Uomini di Dio di Xavier Beauvois (premiato nel 2010 al festival di Cannes) e che fino alla fine avevano percorso la strada del dialogo con i musulmani, con risultati diversi. «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese… che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato», scrisse nel suo testamento spirituale il priore del monastero, Christian de Chergé (gli altri sei monaci si chiamavano Luc Dochier, Christophe Lebreton, Michel Fleury, Bruno Lemarchand, Celestin Ringeard, Paul Favre-Miville). Negli anni della guerra civile algerina la violenza dei fondamentalisti islamici aveva colpito qualsiasi persona contraria alla loro idea di religione, compresi giornalisti, scrittori e anche 99 imam che si rifiutarono di giustificare quegli atti disumani, da cui non erano risparmiati nemmeno i bambini.
I sette trappisti, tutti di nazionalità francese, vennero rapiti la notte tra il 26 e il 27 marzo (altri due monaci scamparono al sequestro) da un commando formato da una ventina di uomini armati. Il sequestro venne rivendicato un mese più tardi dal Gia che propose alla Francia uno scambio di prigionieri. Il 21 maggio, in conseguenza del fallimento delle trattative, il gruppo islamista annunciò l’uccisione dei monaci. Avevano tra i 45 e gli 82 anni e le loro teste vennero ritrovate nove giorni dopo nei pressi della città di Médéa.
L’1 agosto 1996, al ritorno da una celebrazione in suffragio dei sette monaci di Tibhirine, morì anche il domenicano e già citato Pierre Claverie, un algerino d’origine francese, chiamato il «vescovo dei musulmani» per la sua grande conoscenza dell’islam e dell’arabo. Fu ucciso da una bomba scoppiata nel cortile del vescovado di Orano. Insieme a lui cadde vittima anche un giovane amico musulmano di nome Mohammed, che gli faceva da autista. A chi gli chiedeva perché, nonostante l’ondata di violenze, continuasse a rimanere in Algeria, monsignor Claverie diceva: «La Chiesa adempie alla sua vocazione e alla sua missione quando è presente nelle divisioni che crocifiggono l’umanità nella sua carne e nella sua unità». Voleva rimanere lì «a causa di Gesù, perché è Lui che sta soffrendo qui» e perché «la parabola del chicco di grano che muore è l’asse centrale di tutta la mia vita cristiana».
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