Il film di Frank Capra, La vita è meravigliosa (1946), attuale più che mai poiché ricorda che la vita di ogni persona ha un valore inestimabile, anche quando tutto sembra andare storto. Raccontato dalla penna di Mario Palmaro (1968-2014)
Sarebbe meglio se io non fossi mai nato. Forse c’è stato nella nostra vita un momento in cui, vinti dalla disperazione, abbiamo pensato o perfino detto qualcosa di simile. Lo aveva esclamato perfino Giobbe, schiacciato dalle tribolazioni: «Perché non sono morto fin dal seno di mia madre?». Si tratta di una bestemmia, ardua da confutare quando ci troviamo di fronte ai drammi che la vita prima o poi ci riserva. E allora: come trovare le parole giuste per ricordare la consolante verità da sempre insegnata dalla Chiesa? Quella verità per cui ogni uomo è voluto e amato da Dio, ed è sempre una sua benedizione. Forse ci può venire in soccorso un vecchio film in bianco e nero che ogni anno a Natale ricompare sugli schermi della TV, e che molti certo ricorderanno. Si intitola La vita è meravigliosa e fu girato da uno dei più grandi registi di tutti i tempi, l’italo-americano Frank Capra, nato a Bisacquino, nei pressi di Palermo, nel 1897. Capra emigrò negli Stati Uniti dove sarebbe diventato uno dei più affermati maestri della cinepresa: gli avrebbero affidato anche la trasposizione cinematografica della saga guareschiana di Peppone e Don Camillo se la Paramount – cui lo legava un contratto – l’avesse lasciato libero.
Un film imperdibile
It’s a wonderful life – indubbiamente il capolavoro di Capra – compie proprio in questi giorni 60 anni, portati magnificamente bene. Girato nella primavera del 1946 e uscito nelle sale per il Natale di quello stesso anno, ancora oggi è considerato uno dei film più belli nella storia del cinema. Se non l’avete ancora visto, dovete assolutamente colmare questa lacuna. Rimarrete sorpresi da un racconto commovente, che ci obbliga a riflettere sul senso della nostra vita. Fatelo vedere ai vostri figli, magari proprio durante la novena di Natale: non ve ne pentirete.
Il film si apre con il sonoro delle voci di alcuni bambini che stanno pregando: invocano Gesù Giuseppe e Maria. Sono la moglie, gli amici, i figli di George Bailey, il protagonista impersonato da James Stewart, che disperato medita il suicidio a causa di un tracollo finanziario della società che dirige. La cinepresa non ci mostra i volti di chi sta pregando, ma ne riproduce le case in una fissità quasi fiabesca. Unica nota di vitalità è la neve, che scende copiosa nella notte di Natale. Il tempo si è come fermato nell’istante in cui gli uomini compiono il gesto più importante: pregano. La grigia quotidianità di tutti i giorni è improvvisamente illuminata da una verità scandalosa e incredibile: Dio e l’uomo si parlano. Le preghiere sono subito accolte in Cielo, dove san Pietro e san Giuseppe convocano un angelo – Clarence – e lo spediscono sulla terra per mostrare all’uomo tentato dal suicidio come sarebbe stata la vita sulla terra se lui, George Bailey, non fosse mai nato. In un convincente flash-back, Clarence rivede i momenti salienti della vita di George: come quando a 12 anni salva il fratello dall’annegamento; o quando impedisce al farmacista di spedire per errore pillole velenose a un paziente; o quando decide di continuare la “missione” del padre.
Qualcosa di grande e bello
Il commovente film di Capra ha un solo fondamentale obiettivo: dimostrare che la vita di ogni persona ha un grande valore agli occhi della Provvidenza, perché si intreccia con l’esistenza e il destino di molte altre vite. George Bailey ha avuto “una vita meravigliosa”, ma come accade a molti, soprattutto nel momento della prova, non se ne rende conto. Anche perché George è quello che, secondo i criteri del mondo, definiremmo un perdente. Fin da ragazzino il nostro protagonista coltiva il sogno di lasciare il suo piccolo insignificante paese della provincia americana – Bedford – e andare per il mondo a fare grandi cose. Al padre – che ha speso tutta la vita per dare una casa alla povera gente – George spiega: «Scuoterò dalle mie scarpe la polvere di questa città costruirò grattacieli di 100 piani e ponti lunghi un miglio, farò qualcosa di grande e di bello». Ma George Bailey non partirà mai, costretto da una forza misteriosa a rimanere seppellito nella banalità della sua Bedford: subentrerà al padre nella guida della Fondazione & Mutui; sposerà Mary e avrà quattro figli, ma porterà la sua famiglia a vivere in una casa disabitata piena di spifferi, mentre gli amici conquistano fama e ricchezza.
Ecco perché quando la notte di Natale George incontra il suo angelo non ha voglia di ridere: suo zio Billy ha smarrito 8.000 dollari, ritrovati ma non restituiti dall’avido e insensibile mister Potter, e la fondazione sta per chiedere bancarotta. Disperato, Bailey si rifugia al Martini’s Bar e si mette a pregare. È una delle scene più riuscite di tutto il film. racconta James Stewart: «In quella scena dovevo dire: Padre nostro, che sei nei cieli, non sono uno che prega molto, ma se ci sei e mi stai ascoltando, indicami la strada giusta. Mentre dicevo queste parole, fui sopraffatto dalla commozione e mi misi a piangere. Frank Capra non sapeva che avrei pianto, e d’altronde non lo sapevo neanche io. Siccome la cinepresa era troppo lontana, Frank restò alzato tutta notte ingrandendo ogni fotogramma con una stampante ottica. Il primo piano che si vede nel film è frutto di un montaggio certosino».
Se non fossi mai nato
Mettere George, appoggiato alla spalletta del ponte, medita il suicidio, il suo angelo irrompe nel mondo degli uomini gettandosi nel fiume, e costringendo il suo assistito a salvarlo. È il primo prodigioso capovolgimento operato dalla Provvidenza: colui che voleva uccidersi diventa salvatore di un altro. Ma mentre i due si asciugano i vestiti fradici, George Bailey pronuncia la frase che introduce la seconda parte del film: «Sarebbe meglio se non fossi mai nato». Da quel momento, lo spettatore è immerso in un’atmosfera allucinata e inquietante, quella del mondo parallelo nel quale George Bailey non è mai esistito, e che pure gli è concesso di vedere in una specie di incubo assolutamente reale. E non è un mondo migliore: la città non si chiama più Bedford ma Pottersville, perché il ricco e avarissimo Potter ha messo le mani su tutto; la via principale del paese è illuminata dai neon dei night; la Fondazione & Mutui è stata chiusa da un pezzo e nessuno ha mai costruito le case per i meno abbienti; il fratello di George è morto, morti sono pure tutti i soldati di una nave da guerra americana che il fratello di George non ha potuto proteggere, essendo morto; il farmacista ha fatto 20 anni di galera per omicidio, e lo zio Billy è finito in manicomio.
«Strano, vero? – spiega l’angelo Clarence a un James Stewart superlativo nella sua muta disperazione – la vita di ciascuno di noi tocca quella di molte altre persone e quando uno non c’è più lascia tutto intorno un vuoto spaventoso. George, tu hai avuto una vita meravigliosa, e stavi per buttarla via». A quel punto è lo stesso George a pregare l’angelo di farlo ritornare nella sua vera esistenza. E vi ritorna da uomo felice: non gli importa di fare bancarotta, non gli interessa nulla di avere fallito. Ha capito di essere l’uomo più ricco della città perché ha scoperto che tutte le piccole cose di ogni giorno sono grandi, inaspettati doni della Provvidenza. Il bene seminato nel nascondimento e con tanta tenacia non è caduto nel vuoto: tutta la città attende George a casa, con una colletta che lo ripagherà ampiamente della paura di quella lunga notte di Natale. George ha ricevuto da Gesù Bambino il dono più bello: accorgersi che la sua è una vita davvero meravigliosa.
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