Ignazio Marino, il sindaco di Roma, «aveva probabilmente qualcosa da farsi perdonare», ha detto monsignor Vincenzo Paglia, ingannato da Radio 24, al finto Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Infatti, aldilà della risposta di Papa Francesco sul sindaco di Roma che non era stato invitato da lui a Filadelfia, un episodio accaduto un anno fa potrebbe contribuire a spiegare l’origine di questa storia.
Nell’ottobre dell'anno scorso Francesco aveva infatti chiaramente manifestato la sua irritazione nei confronti del sindaco, durante una riunione a porte chiuse del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Era il 18 ottobre del 2014. Dopo un'animata discussione sul testo della Relatio Synodi, il Papa aveva raccontato ai Padri sinodali che il suo segretario particolare aveva ricevuto, il giorno precedente, una chiamata dal sindaco di Roma. Ignazio Marino voleva parlare con il Pontefice per annunciargli che stava per riconoscere i matrimoni di persone dello stesso sesso registrati all'estero.
Il 19 ottobre Marino, con una cerimonia pubblica in Campidoglio, avrebbe poi registrato i sedici matrimoni omosessuali celebrati all’estero, anche se la legge italiana non lo permette. Il segretario del Papa aveva spiegato al sindaco che Francesco non poteva rispondere, in quanto impegnato in aula con i padri sinodali e stava discutendo dei problemi della famiglia. Marino aveva replicato che proprio per questo voleva informare il Papa della sua iniziativa. Di fronte ai vescovi del Sinodo, Francesco, raccontando l'episodio, aveva fatto capire che considerava quella telefonata quasi una presa in giro.
Intanto, da parte della Santa Sede, si cerca di gettare acqua sul fuoco delle polemiche. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha dichiarato a proposito della telefonata del finto Renzi a monsignor Paglia: «I rapporti fra i rappresentanti della Santa Sede e le autorità italiane a proposito del Giubileo si sono sempre svolti e continueranno a svolgersi con serenità e correttezza nelle sedi appropriate. Affermazioni riportate da una conversazione privata – ottenuta con inaccettabile inganno – non possono esprimere in alcun modo le posizioni della Santa Sede».