In principio fu Venezia. Era il 13 marzo scorso e il sindaco Luigi Brugnaro attraversava il Canal Grande per entrare nella Basilica della Madonna della Salute. Entrato, si inginocchiò davanti all’icona sacra e recitò la preghiera composta per l’occasione dal patriarca Francesco Moraglia. L’alluvione di novembre era ancora negli occhi e nelle gambe, ma il primo cittadino non esitò a far mancare alla sua popolazione anche uno speciale atto di affidamento a protezione del Coronavirus.
Dopo Venezia è stato il turno di Sassuolo, con il sindaco Gian Francesco Menani a depositare il mazzo di fiori alla Madonna c’erano anche il parroco don Giovanni Rossi e il curato don Carlo Menozzi e tutti e tre si sono dovuti sorbire anche le scriteriate critiche del Pd locale che ha rimproverato ai tre di non aver rispettato la distanza di sicurezza: «Era per il bene di tutti i cittadini questo atto di affidamento», si sono dovuti giustificare «e comunque è durato un attimo». Ma col passare dei giorni l’elenco dei sindaci “affidatari” a Dio si è allargato a dismisura tanto che alcuni siti hanno smesso di raccontarli singolarmente per farne solo un mero elenco. É l’Italia dei Comuni, trono e altare, di nuovo. O finalmente, se vogliamo.
Certo, le critiche non sono mancate come dimostra la assurda vicenda del primo cittadino di Giulianova Jwan Costantini (foto nel testo) che nel giorno dell’Annunciazione ha partecipato con i parroci all’Atto di Affidamento della Città alla Madonna dello Splendore, ricevendo in cambio una visita dei Carabinieri e poi una denuncia alla Procura di Teramo per inosservanza delle ordinanze che vietano la partecipazione in pubblico alle Messe. Entrate in tackle di un ateismo ora travestito da forza di igiene pubblica. Ma nel complesso, l’Italia dei comuni e dei campanili possiamo dire che si è riunita egregiamente.
Mostrando senza timore cosa distingue la laicità dalla superstizione: si chiede la fine della pandemia sulla base della fede, ma la fede non è in contrasto con la ragione. È così la politica che ha bisogno di colonne portanti che non si sa dare da sola.
Qua e là, martedì, sindaci e assessori, aderendo all’iniziativa dell’Anci, si sono trovati fuori dai municipi per osservare un minuto di silenzio, il più delle volte di fronte a statue risorgimentali o a monumenti ai caduti. All’ora dell’Angelus, per di più. Un minuto di silenzio, pratica ormai politicamente corretta e falsamente unitaria che esprime il trionfo del relativismo e del nichilismo di fronte al mistero della morte. Tentativi, più che risposte.
Le risposte invece sono arrivate dal Piemonte alla Sicilia sotto altre forme. Dalle Alpi agli Appennini dunque, in questo mese di dolore e angoscia, un filo rosso ha unito le piazze degli italiani, molto più degli inni nazionali cantati al balcone, decisamente meglio degli hastag “ce la faremo” mandati a profusione sui social: a Naro ci si affida a San Calogero e a Verona al patrono San Zeno.
E ad Ascoli Piceno? Il sindaco Marco Fioravanti con il vescovo Giovanni D’Ercole hanno scelto il patrono Sant’Emidio (foto in testata), mentre a Galati Mamertino il primo cittadino ha chiesto la protezione del Santissimo Crocifisso. A Sora, amministrazione comunale tutta ritta di fronte a San Rocco, mentre a Ferla in provincia di Siracusa Michelangelo Giansiracusa ha chiesto l’intercessione di San Sebastiano.
Nella classifica però a primeggiare c’è sempre Lei: che sia la Madonna del Perpetuo Soccorso di Menfi e San Severo di Foggia o l’Assunta di Siena, alla quale la fascia tricolore ha donato anche le chiavi della città, o la Madonna delle Grazie di Nuoro e di Curtatone di Mantova e persino la localissima Madonna della Quercia di Viterbo, per ogni campanile c’è Maria che è pronta.
Perché l’Italia è così e sempre così è stata: “Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. E stavolta l’altare è al posto che gli spetta.
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