Conversando con don Samuele Pinna, autore del libro Marcello Candia. Imprenditore per conto di Dio (Prefazione del cardinal Angelo Scola, edito dall’Editrice Àncora), quasi per gioco ci siamo chiesti: «Se entrassimo in una libreria e vedessimo il volume su uno scaffale, perché lo compreremmo?». Le risposte che subito ci siamo dati – «Perché la copertina è accattivante!», «Perché mi attira il titolo!», «Perché dello stesso autore ho già letto le opere dedicate ad attori famosi [Spaghetti con Gesù Cristo! La «teologia» di Bud Spencer; Il suo nome è Terence Hill. Una vita da film; Nell’anima di Alberto Sordi. N.d.A.] e le ho trovate veramente gradevoli!» – erano tutte tra il proverbiale serio e faceto ma poi, soffermandomi a considerare, ho pensato di destinare qualche parola più, per così dire, “ufficiale” all’opera dedicata all’industriale milanese dichiarato Venerabile dalla Chiesa, per risolvere la questione e, qualora vi troviate davanti al famoso scaffale, per invitarvi a procurarvi quel volumetto di non enorme mole ma di grande profondità.
Il primo motivo è, essenzialmente e semplicemente, il fatto che è un libro bello da leggere: nato da una prodigiosa stesura in tre settimane, ripercorre in maniera semplice eppure non semplicistica le vicende dell’imprenditore della carità, con uno stile piano ma mai banale e talvolta arricchito da spunti e stilemi letterari. È impreziosito, poi, dalla partecipazione di Giorgio Torelli, recentemente scomparso, i cui testi con il loro stile caratteristico che unisce costrutti complessi a vocaboli ricercati, che si fonda più sull’evocazione dell’immagine che non sulla sua descrizione, si inseriscono come perle nel diadema, forgiato dall’autore, del fluire del racconto della vita del venerabile Marcello. Non è solo un fatto estetico, però, a rendere luminosi gli interventi del grande Cacciatore di buone nuove (titolo, tra l’altro, del libro intervista tra don Pinna e il giornalista parmense): da ogni parola di Torelli, difatti, emerge tutta la saggezza e l’esperienza del giornalista di lungo corso, che aveva un punto di vista superiore su fatti e persone della nostra epoca e che, al tempo della stesura del volume, era tra i pochi ancora viventi che avevano potuto conoscere il dottor Candia così da vicino, così bene e così a fondo.
Un altro motivo: se è vero che la bibliografia dedicata a Marcello Candia è abbastanza consistente, è altrettanto vero che un’opera come questa ha una fisionomia particolare che la rende un unicum nel panorama. Don Pinna, infatti, ci conduce sì all’interno della biografia del Servo di Dio in occasione del quarantesimo anniversario della morte, ma ci accompagna anche, con maestria e guida sicura, a riflettere su aspetti determinanti per la vita di ogni credente (e non). E proprio la componente del fermarsi a meditare su certi elementi umani e spirituali rende questo volume straordinario: se il ricordo di una persona o di un evento non influisce su coloro i quali vi assistono (o, al più, influisce in maniera transitoria ed emozionale), rimane lettera morta e risulta poco o per nulla efficace. Ma se quello stesso ricordo porta a pensare, a interrogarsi, a rivedere quelle che si crede siano priorità, allora mostra tutta la sua forza e si traduce in azione. E molti sono i tratti della figura e della vita del dottor Candia che colpiscono e spingono a soffermarsi a considerare: in un’epoca come la nostra – parafrasando quanto G.K. Chesterton affermava nel suo testo dedicato a san Tommaso d’Aquino – c’è decisamente bisogno di un santo che la contraddica, che si ponga in antitesi a quanto spesso si osserva e che, per pigrizia, inconsapevolezza o malafede, diviene la norma.
Ciò che balza immediatamente agli occhi di chi si accosta anche solo per la prima volta al venerabile Marcello è il suo immenso e perfettamente evangelico amore per il prossimo. Un «prossimo» inteso non in maniera «teorica», ma precisamente individuato, con una fisionomia differente secondo il tempo e il luogo, ma sempre «prossimo». E sempre assistito al meglio – e qui si intravede un altro tratto mirabile del manager milanese, per cui il soccorso ai miseri non deve in alcun modo essere di qualità scadente – e mai per spirito di sola filantropia (troppo presente, oggi, anche in ambienti che dovrebbero essere informati a ben più profondi valori cristiani), ma per pura carità evangelica, che porta a vedere negli ultimi e nei sofferenti non solo fratelli da amare, ma anche lo stesso Christus patiens. Un amore per l’altro spinto fino alla rinuncia a tutti i beni (e persino alla propria salute): non un allontanamento dalle ricchezze per inseguire un ideale «sentimentale» di povertà, ma una cosciente e pianificata – non poteva essere altrimenti, per un industriale – vendita di stabilimenti e beni, finalizzata al conseguimento del grande obiettivo del Brasile. Chiaramente, tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la sua spiritualità profonda e granitica, fondata non tanto su grandi ragionamenti teoretici e sulla lettura di quei testi di cui si compiacciono i cosiddetti «cristiani adulti», ma sulla forza della preghiera e su un libretto di orazioni di quando era giovane. È, se si vuole, la devozione «delle nonne» (o delle vecchie zie), semplice e umile, oggi spesso guardata con malcelata superiorità (quando non disprezzo), eppure tanto simile al granello di senape di evangelica memoria: seme minuscolo, ma che dà vita a un albero su cui nidificano gli uccelli del cielo.
La vita del Venerabile Marcello è stata una vita sotto il segno della Croce: Croce abbracciata e amata, quando imposta sulle sue spalle, una Croce fatta della precoce morte dell’amata madre, della partenza per il Brasile tanto desiderata e sempre rimandata da fattori esterni, degli operai deceduti a causa di un incidente in fabbrica e del conseguente processo, delle numerose incomprensioni in terra di missione (assai più dolorose se a non capire erano i “vicini”), delle difficoltà nella realizzazione pratica dei progetti, delle calunnie, della malattia. Ma Croce abbracciata e amata anche nel prossimo, nel fratello sofferente amato per amore di Cristo. Ognuno di noi, nella propria esistenza, è chiamato a prendere la sua croce e seguire il Maestro: quando ciò capita, con quanto dolore e sofferenza iniziamo la salita al monte della Crocifissione! Eppure, dovremmo sempre tenere presente che, come scrive l’autore, «le tenebre che circondano il Calvario non sono – mai – l’ultima realtà, perché alla fine giunge l’alba luminosa della resurrezione».
Marcello Candia, poi, è stato uomo di – mi si conceda il parziale gioco di parole – immensa umiltà. In effetti, pur caratterizzato da un’indole non sempre facile da accettare per chi non viveva completamente dedito al Regno, fu un uomo umile nel senso più alto del termine. Un primo volto dell’umiltà del Servo di Dio si mostra nel suo rapporto con gli ecclesiastici: riconoscendo di essere un semplice battezzato, ha esercitato in ogni momento la virtù dell’obbedienza, senza tentare mai di usurpare prerogative e ruoli di chi ha ricevuto gli Ordini sacri e senza mai scadere nella critica violenta (anche laddove sarebbe stato, o sarebbe sembrato, necessario). Ma anche la rinuncia e la cessione di quanto costruito in terra brasiliana sono umiltà: l’umiltà del servo inutile che ha fatto semplicemente quello che doveva fare e che lo trasmette ad altri perché continuino a farlo fruttificare. Torno a Chesterton, e alla sua immagine di santo come antitesi (o antidoto) alla società in cui si trova: dopo aver osservato da vicino la figura di Marcello Candia con gli occhi della biografia e con gli occhi della fede, ci si rende conto che corrisponde perfettamente alla descrizione dello scrittore inglese. All’indifferenza, all’egoismo e all’egocentrismo (spesso spinti all’estremo) della società moderna il Servo di Dio consente di contrapporre l’attenzione a quanti ci circondano, l’autentica carità cristiana, il sacrificio di sé.
Al fare le cose «tanto per fare», con approssimazione, ci porta a opporre l’organizzazione, la pianificazione, la cura di ogni dettaglio: non per una qualche precisione maniacale, ma perché – come si suol dire – «le cose o si fanno bene o non si fanno», tanto più se ci si dedica all’imprenditoria per il Signore. All’inclinazione ad agire come se fossimo perfettamente autosufficienti, come se non avessimo bisogno di Dio, ci addita la via della fede, dell’abbandono totale e della fiducia nella Provvidenza. E grazie alla fede e all’affidamento completo possiamo anche noi (e quante volte, invece, persino le più piccole sofferenze ci paiono insormontabili!) abbracciare la Croce. Da ultimo, alla tendenza a reputarsi più di quanto si è, a usurpare ruoli e compiti che non competono per stato o capacità (quanto si osserva, ciò, nelle realtà parrocchiali, ma anche sui luoghi di lavoro!), a rimanere attaccati con perversa tenacia anche al più piccolo dei conseguimenti, il dottor Candia ci mostra che è possibile rispondere con la santa arma dell’umiltà. Incontrare (o incontrare di nuovo) l’imprenditore per conto di Dio, grazie alle pagine di questo volume e all’acribia di don Samuele Pinna nel rileggere il riverbero spirituale di una vita donata, può davvero aiutare a (ri)aprire gli occhi, a riconsiderare – guidati da tanto maestro – il nostro approccio alla vita di fede e alla vita di tutti i giorni. (Foto: Copertina libro, Facebook)
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