Pubblichiamo di seguito un ampio stralcio delle parole di monsignor Antonio Suetta, pronunciate ieri, 13 ottobre 2021, nell’omelia tenuta presso la concattedrale di San Siro a San Remo (IM) (fonte: Diocesi di Ventimiglia – San Remo)
di Antonio Suetta*
(…) San Romolo, invocato come defensor civitatis, è formidabile testimone di cura pastorale e di amore per il suo popolo, e anche oggi con riconoscenza ricordiamo la sua protezione in eventi drammatici per questo territorio come la peste del 1658, la rivoluzione del 1753 e l’ultima guerra mondiale.
L’iconografia lo presenta in abiti pontificali, richiamo al pastore della Chiesa, e con la spada sguainata, espressione di difesa dagli attacchi del male, ma pure richiamo al dovere della coraggiosa predicazione della verità di Dio.
In San Romolo contempliamo un autentico pastore della Chiesa, secondo il cuore di Gesù, che ha indicato nella disponibilità ad offrire la vita per le pecore i tratti distintivi di se stesso, Pastore del suo popolo, e di ogni ministro del Vangelo. Il nostro Patrono ha adempiuto all’invito dell’apostolo Paolo agli anziani di Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge per pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue”.
Anche la presenza delle istituzioni e la marcata connotazione civica di questa festa esortano tutti a considerare la fede cattolica come radice profonda della nostra civiltà e riferimento imprescindibile nel perseguimento del bene comune.
Dilaga una mentalità secolarizzata, tendente a scristianizzare sempre di più la società mediante feroci attacchi alla sacralità della vita, alla fisionomia della famiglia, al riferimento della legge naturale, nell’assurda convinzione che l’uomo possa pienamente realizzarsi soltanto se emancipato da Dio e dalla religione, declinando, a tale scopo, un concetto di laicità in stridente contraddizione con la verità dell’uomo e con le pagine più belle della nostra storia.
Recentemente il Papa emerito Benedetto XVI è ancora intervenuto circa la contingente situazione culturale auspicando l’elaborazione di un’ecologia dell’uomo. Egli auspica una sorta di movimento per l’ecologia dell’uomo che protegga la natura dell’uomo così come “il movimento ecologico ha scoperto il limite di quello che si può fare e ha riconosciuto che la “natura” stabilisce per noi una misura che non possiamo impunemente ignorare. Anche l’uomo possiede una “natura” che gli è stata data, e il violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione”. (La vera Europa – Identità e missione). (…)
È necessario riscoprire con fierezza il tesoro della fede e non avere timore di offrirlo all’umanità smarrita di oggi.
Invito anche i rappresentanti delle istituzioni, sia coloro che si professano cristiani sia anche chi non condivide il dono della fede, a considerare come i valori su cui si fonda la nostra civiltà bimillenaria siano il frutto inestimabile della tradizione giudaico-cristiana e come a nessun vento di novità, a nessuna antropologia alternativa e neppure a nessuna esasperata volontà di malinteso dialogo sia concesso di estirpare le profonde radici della storia cristiana europea e italiana, e di rottamare o svendere le migliori conquiste della nostra cultura. Quante volte abbiamo sentito dire “Nel 2021 non si possono dire certe cose”, oppure “Non siamo più nel medioevo”? Con una semplice e stupida frase abbiamo liquidato due millenni; così, con una semplice emissione di fiato (R. Marchesini).
Gilbert Chesterton nel romanzo “La sfera e la croce” scrive che “Il cristianesimo è sempre fuori moda perché è sano e tutte le mode sono insanità… La Chiesa pare sempre alla retroguardia del tempo, mentre è all’avanguardia: essa aspetta che l’ultima follia abbia visto il suo ultimo tramonto. Essa tiene le chiavi di una virtù permanente. La Chiesa – egli dice – non può permettersi di deflettere su certe cose, nemmeno di un capello, se deve continuare il suo grande e rischioso esperimento di irregolare equilibrio. Una volta lasciato che un’idea perda di potenza, un’altra diventerà troppo potente. Il pastore cristiano non deve guidare un gregge di pecore, ma una mandria di bufali, e di tigri, di ideali terribili e di dottrine divoranti, ognuna abbastanza forte per trasformarsi in una falsa religione e devastare il mondo. Non dimentichiamo che la Chiesa si affermò specificatamente per le sue idee pericolose; fu una domatrice di leoni”.
Il nostro paesaggio geografico mi suggerisce una metafora per concludere.
Spesso diciamo che siamo barche in mezzo al mare sia pensando a rischi e alle fatiche della traversata della vita sia avvertendo anche quel senso di libertà assoluta, che sempre affascina e talvolta tradisce. Ogni esperto di navigazione sa tuttavia che per un’imbarcazione sono necessari il porto e il faro. Il corso della nave non è fine a se stesso, ma va verso un approdo, pena il non senso; soprattutto, nel buio della notte o nella furia delle tempeste, ha bisogno di un faro, pena la perdita della rotta e il naufragio.
Il male della modernità, chiamato progressismo, è che l’uomo risulta come intrappolato su di una barca che corre, senza riferimenti, in mare aperto verso una méta sconosciuta – spesso anche negata o dichiarata inesistente – senza il coraggio di sottrarsi e di fuggire dall’oceano del pensiero comune e sognando una falsa libertà, in realtà rimanendo schiavo del pensiero dominante, che costantemente gli offre miraggi di attracchi impossibili e che lo lascia deluso e smarrito di fronte ad un orizzonte perennemente irraggiungibile con una struggente e infinita nostalgia del suo vero destino. (…)
*Vescovo di Ventimiglia-San Remo
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