In principio fu il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, punta di diamante dell’episcopato progressista. Dopo la strage islamista in un club gay a Orlando, in Florida – 12 giugno 2016 -, ebbe a dire che la Chiesa deve chiedere scusa ai gay per le discriminazioni inflitte. Ma Marx si riferiva al riconoscimento statale delle unioni omosessuali, di cui perorava la causa.
Subito dopo venne il Papa che, chiaramente ignaro del vero significato della presa di posizione di Marx, rispondendo alla domanda di un giornalista sull’aereo al ritorno dal viaggio in Armenia, disse: «Chiedere scusa ai gay? Sì, ma i cristiani devono chiedere scusa anche ai poveri, alle donne e ai bambini sfruttati, devono chiedere scusa di aver benedetto tante armi, di non aver accompagnato tante famiglie». Ovviamente i giornali di tutto il mondo titolarono solo sulle scuse ai gay.
Da allora le necessarie scuse ai gay sono diventate un mantra, e ogni volta che un vescovo deve affrontare il tema sembra che non si possa fare a meno di ricordare presunte discriminazioni passate a danno dei gay, di cui pentirsi. Anche i vescovi che in materia sono lontani mille miglia dalle posizioni del cardinale Marx – e sicuramente ignorano il significato di quella prima dichiarazione di scuse – non possono fare a meno di dirlo.
Intanto bisogna dire che si perpetua la confusione tra persone con tendenze omosessuali e gay. Non è la stessa cosa: con gay si indica la parte militante che propaganda la cultura omosessualista, in cui non si riconoscono certo la totalità delle persone con tali tendenze, molte delle quali vivono con disagio la propria condizione.
Detto questo però, chiediamo: quand’è che la Chiesa ha discriminato ingiustamente le persone con tendenze omosessuali? Perché le scuse, se si fanno, riguardano circostanze concrete, non astrazioni. Qualcuno ricorda forse l’ordine di tenerli fuori dalle chiese? O un Motu Proprio che li bandiva dai sacramenti solo per la loro tendenza? Allora di che cosa ci dovremmo scusare? Piantiamola di pagare il dazio al “politicamente corretto”.
Ben disse il vescovo americano Thomas Wenski, arcivescovo di Orlando, reagendo alle idiozie di alcuni suoi confratelli dopo la famosa strage in un locale gay: «Dove nella nostra fede, o i nostri insegnamenti… abbiamo colpito e alimentato il disprezzo per qualsiasi gruppo di persone?». «La nostra fede, la nostra religione, non dà nessun conforto, né avalla minimamente razzismo, misoginia, o omofobia». E l’arcivescovo sudafricano di Durban, il cardinale Wilfrid Fox Napier nella stessa occasione fu addirittura profetico, se pensiamo a cosa si dibatte oggi nella Chiesa: «La prossima volta dovremo chiedere scusa per aver insegnato che l’adulterio è un peccato! Il politicamente corretto è la più grande eresia di oggi».
Eppure non è difficile capire che l’origine di questa storia delle scuse ai gay nasce proprio come tentativo di far passare la cultura omosessualista nella Chiesa. Oggi c’è un ampio settore della Chiesa che, con il pretesto delle scuse per presunte discriminazioni passate, spinge per il riconoscimento delle unioni omosessuali: non l’accoglienza delle singole persone, ma la legittimazione dell’omosessualità in quanto tale.
Invece le scuse bisognerebbe farle sì, ma non ai gay: bisognerebbe farle alle persone con tendenze omosessuali che vivono con disagio la propria condizione e si vedono negata anche dai preti una strada diversa dal perseverare in rapporti contro natura. A coloro che vanno in chiesa per un aiuto e trovano soltanto associazioni Lgbt cristiane, perché preti e vescovi lasciano fuori quelle poche associazioni che si occupano di accompagnare le persone con tali inclinazioni in un percorso rispettoso della persona secondo l’insegnamento della Chiesa.
Bisognerebbe chiedere scusa perché alle persone che cercano una speranza, una liberazione dalla propria condizione, viene offerta soltanto complicità nel male. Bisognerebbe chiedere scusa a tutti i fedeli per aver lasciato che nei seminari e oltre proliferassero presenze ambigue (si ricordi che anche il fenomeno chiamato “pedofilia” in realtà sono in massima parte abusi omosessuali; per aver lasciato che sacerdoti gay diventassero vescovi e si trovassero in posizioni di grande responsabilità nella Chiesa, da dove oggi stanno deviando la coscienza dei fedeli.
Di tutto questo si dovrebbe chiedere scusa e, pentiti, provvedere a tornare sulla retta via. Ma è proprio quel che non si farà: perché quanti hanno in testa di promuovere l’agenda gay nella Chiesa trovano le porte spalancate dai tanti “buoni” che hanno timore di opporsi all’eresia del politicamente corretto.