Mentre in Italia va prendendo forma il governo Pd-5 Stelle, che si preannuncia come un mix particolarmente pericoloso contro vita e famiglia, nel mondo continuano la loro opera le agenzie dell’Onu impegnate nella diffusione dell’agenda globalista. Come l’Unesco, che vuole che i governi impongano radicali programmi di educazione sessuale, usando anche metodi non democratici pur di «superare l’opposizione sociale».
A darne notizia è il Center for Family (C-Fam), istituto di ricerca specializzato in tematiche riguardanti l’Onu, che rende conto di un nuovo documento pubblicato quest’estate in sede Unesco, documento che «evidenzia ripetutamente i diritti all’aborto e l’accettazione sociale dell’omosessualità come componenti dell’educazione sessuale onnicomprensiva». Un termine, quest’ultimo, che è stato già rigettato per la sua carica ideologica dall’Assemblea Generale, cioè l’organo che riunisce tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite, e che tuttavia continua a essere propagato – con i suoi relativi e controversi programmi di educazione sessuale per bambini e adolescenti – dalle molte agenzie dell’Onu operanti soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, spesso subordinando gli aiuti all’accettazione della nuova cultura occidentale. Il che è come far rientrare dalla finestra ciò che non si è riusciti a far passare dalla porta.
E ora l’Unesco – che già l’anno scorso, nell’ambito dell’Agenda 2030, aveva pubblicato una guida ultraprogressista sull’educazione sessuale – mostra di voler fare un passo in più per forzare la mano laddove manchi il consenso di insegnanti e, prima ancora, genitori, cioè di coloro che sono i primi responsabili dell’educazione dei propri figli. Così il nuovo documento invoca l’approvazione di leggi che diano a ogni dato governo «un chiaro mandato e giustificazione per aiutarlo a realizzare le azioni necessarie» a imporre l’educazione sessuale onnicomprensiva. Questo perché «può essere difficile raggiungere un consenso, in particolare su argomenti più delicati come la contraccezione, l’aborto sicuro, l’orientamento sessuale e l’identità di genere». Inoltre, «l’opposizione da parte di gruppi religiosi può essere forte e può bloccare lo sviluppo dell’educazione sessuale onnicomprensiva».
Il documento biasima i Paesi che sottolineano l’astinenza e la castità come le vie migliori per evitare gravidanze precoci e malattie sessualmente trasmissibili; e fa presente che le strategie per ovviare alla mancanza di consenso hanno avuto successo in Paesi africani come il Ghana, il Kenya, lo Zimbabwe, e asiatici come l’India e la Tailandia.
Una forte resistenza della comunità locale c’è stata invece in Uganda, che ha condotto nel 2016 a una revisione dell’onusiano curriculum sull’educazione sessuale, che secondo l’Unesco non soddisfa gli standard (quelli loro…) «e include un linguaggio moraleggiante». Un fatto evidentemente inaccettabile per chi propone programmi senza freni morali, ma che al tempo stesso ci ricorda che resistere paga.
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