Nel numero di settembre del “Il Timone” abbiamo pubblicato un’intervista con l’onorevole polacco Jacek Saryus-Wolski, il veterano delle istituzioni dell’UE).
Sryusz-Wolski fu uno dei principali negoziatori dell’adesione della Polonia all’Unione europea, membro del Parlamento europeo per tante legislature, già vicepresidente del Parlamento europeo, presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo, negli anni 2006-2017 vicepresidente del Partito Popolare Europeo. La sua intervista pubblicata sul Timone è una precisa e ben documentata denuncia di un tentativo da parte del mainstream europeo, che lui chiama “il gruppo di potere”, di creare il superstato oligarchico centralizzato dominato dalla Germania e dalla Francia. Saryusz-Wolski critica il sistema UE dove mancano i controlli ed equilibri adeguati e non esistono meccanismi che possano difendere efficacemente gli interessi dei Paesi di piccole e medie dimensioni.
Abbiamo ricontattato il deputato Saryusz-Wolski, anche alla luce della recentissima crisi dei migranti che ha dimostrato una volta in più come il meccanismo Ue sia ben poco oliato.
Onorevole, si può impedire la trasformazione dell’UE in un superstato oligarchico? Esiste una visione alternativa dell’Unione?
«Ovviamente che esiste: l’Unione fedele alle sue radici e ai presupposti originari dell’integrazione europea avanzata dai padri fondatori come Alcide de Gasperi, che si fonda sull’equilibrio istituzionale. La controproposta promossa dalla Polonia e dal gruppo ECR (la fazione dei conservatori e dei riformatori al Parlamento europeo) si basa sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. Va sottolineato che non è necessario modificare i trattati per migliorare il funzionamento dell’Unione. È sufficiente che le stesse istituzioni dell’UE rispettino le disposizioni già contenute nei Trattati e mostrino la necessaria volontà politica di agire. Osservando i tentativi sempre più audaci di introdurre e consolidare un nuovo ordine europeo, cioè un superstato oligarchico, propongo di compiere certi passi concreti».
Quali?
«Prima di tutto dovrebbe essere effettuato un riesame completo delle politiche dell’Unione per verificarne la conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità. Inoltre, dovrebbe essere istituito un meccanismo di revisione periodica delle politiche dell’UE per prevenire nuove violazioni dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Altri passi?
«Ogni documento dell’UE dovrebbe contenere una clausola di competenza che indichi la sua fonte nel Trattato. Ciò dimostrerebbe chiaramente quanti degli argomenti trattati dal Parlamento Europeo non hanno una base giuridica nelle competenze del Trattato dell’Unione. Uno studio condotto per il gruppo del Partito popolare europeo ha mostrato che l’80 per cento delle questioni trattate dal PE esulava dalla competenza dell’Unione, e solo il 20 per cento rientrava nel loro campo di competenza. Mi sono rivolto ai vertici del Parlamento Europeo per controllare questo tipo di valutazione. Per il momento, il servizio di ricerca del PE ha semplicemente rifiutato tale controllo a causa di preoccupazioni politiche».
Se i vertici dell’UE rifiutano qualsiasi tipo di controllo, quali azioni specifiche si potrebbero intraprendere?
«Si possono proporre molte azioni specifiche. Prima di tutto, uno di questi meccanismi di resistenza all’Unione accentratrice è lo scudo costituzionale, che viene “costruito” oggi dal Tribunale Costituzionale polacco e per questo motivo è così tanto attaccato. Questo è il significato della sentenza chiave del TC polacco del 14 luglio 2021, in cui si afferma che l’Unione non può agire “ultra vires”, andare oltre le sue competenze definite dal Trattato e, se lo fa, è illegale e non ha forza vincolante per gli Stati membri».
Nell’ambito della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo, Lei partecipa come uno dei sei correlatori ai lavori sulla relazione sulle modifiche ai Trattati Ue secondo la procedura dell’art. 48 TUE.
«Questi lavori sono una condizione necessaria affinché il Consiglio avvii l’ulteriore procedura di modifica del trattato sotto forma di convocazione di una convenzione, e quindi eventualmente di una conferenza internazionale. A questo documento sta lavorando un gruppo guidato da Guy Verhofstadt (che, tra l’altro, si è autoproclamato relatore esecutivo). Com’era prevedibile, le proposte di tutti i gruppi politici del PE, ad eccezione dell’ECR e del gruppo ID (Identità e Democrazia, che non partecipa ai lavori), seguono un’agenda politica ben precisa: concentrazione di poteri a livello dell’UE. La chiamano politica federalista, anche se in realtà si tratta di un approccio puramente centralista, in quanto non intende contribuire all’equilibrio tra i due livelli: l’UE e gli Stati membri, come avverrebbe in un sistema federale. Questo approccio centralista distorce l’equilibrio a favore del livello dell’UE e si allontana dai principi del Trattato come sussidiarietà, proporzionalità e prossimità».
Lei propone altre soluzioni di riforma?
«Una delle soluzioni che propongo è l’introduzione a livello dell’UE del cosiddetto “cartellino rosso” che richiede ritiro obbligatorio di una proposta legislativa UE in caso di opposizione da parte della maggioranza dei parlamenti nazionali. Propongo anche – sebbene sia la proposta più difficile, ma allo stesso tempo più importante – la creazione di una camera di controllo ed appello contro i verdetti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), perché oggi non esiste una camera del genere. Questa è una distorsione dei principi giuridici di base della nostra civiltà: il diritto di appello e il principio di due istanze. Pertanto, propongo che nell’ambito della CGUE sia istituita una camera di sussidiarietà, composta dai presidenti delle corti costituzionali nazionali.
Recentemente i cinque gruppi politici del PE hanno proposto di estendere il catalogo delle competenze condivise tra l’Unione e gli Stati membri, con priorità di esercizio da parte dell’UE. Sembra una proposta pericolosa, un altro tentativo di concentrare tutto a Bruxelles…
«E’ vero. Nell’ambito della modifica dell’art. 4 TUE, i cinque gruppi politici del PE hanno proposto di estendere il catalogo di tali competenze alle seguenti 11 aree: 1. Gestione delle aree boschive (silvicoltura), 2. clima e biodiversità, 3. questioni di salute pubblica, comprese le minacce sanitarie transfrontaliere; protezione della salute umana, compresa la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, 4. infrastrutture transnazionali, 5. affari esteri, 6. sicurezza esterna e difesa, 7. protezione civile, 8. protezione delle frontiere, 9. attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite 10. cultura, 11. educazione in materia transfrontaliera.
Si tratta di un massiccio trasferimento di competenze dal livello dello Stato nazionale al livello dell’Unione Europea, che rivoluziona il sistema UE. Volevo ricordare che il principio del cosiddetto “principio delle competenze condivise” afferma che l’Unione ha la priorità nell’esercizio delle competenze in questione e lo Stato membro può intervenire sole quando l’UE rinuncia a farlo. Ho chiaramente posto il veto a tutte queste proposte».
La sua analisi della situazione mostra chiaramente che l’attuale UE è un superstato oligarchico in costruzione. C’è qualche speranza per invertire questo pericoloso processo?
«Dobbiamo dimostrare con forza che un’alternativa non solo è possibile, ma è anche auspicabile e migliore, ma prima di tutto è fedele alle radici dell’integrazione europea. Bisogna proporre costantemente le soluzioni alternative e non concentrarsi solo sul blocco di proposte sfavorevoli. Nel promuovere un’UE basata sull’equilibrio istituzionale, si dovrebbe essere orientati verso un’azione a lungo termine, poiché questa è la dinamica politica dell’Unione. Le soluzioni proposte dal mainstream europeo, che oggi ci sembrano innocue e talvolta portano benefici a breve termine (ad esempio una tassa sulle società multinazionali), potrebbero avere conseguenze molto negative in futuro. È quindi necessario utilizzare sistematicamente l’immaginazione politica, analizzando i potenziali effetti delle soluzioni proposte, in modo che le conseguenze delle decisioni odierne non limitino le possibilità degli Stati membri dell’UE in futuro. Tuttavia, vorrei concludere con una nota ottimistica. Ricordiamo che questa evoluzione centralistica del sistema Ue, che si fa fuori dai Trattati, è sempre più contestata: si fanno proposte costruttive di cambiamento. La Polonia gioca un ruolo speciale in questo, poiché è attualmente all’avanguardia dell’eurorealismo difendendo i principi contenuti negli attuali trattati e l’Unione stessa contro il suo “dirottamento” da parte di forze politiche ideologiche e accentratrici. Ci sono segnali che anche in altri Paesi come Italia e suo governo di premier Meloni, ci siano tentativi di opporsi alle usurpazioni centraliste dell’Unione, e gli occhi di molti sono puntati proprio sulla Polonia».
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