La disforia di genere non può più essere considerata un «disordine mentale». Dopo averlo annunciato oltre un anno fa, con il voto avvenuto lo scorso 25 maggio la 72esima World Health Assembly ha confermato la decisione: nella nuova edizione dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems, l’Icd-11, stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la disforia di genere è stata ufficialmente rimossa dall’elenco dei «disordini mentali». Gli Stati membri sono chiamati ad adattarsi al nuovo status quo entro il 2022.
Eccoci dunque arrivati agli ultimi atti del processo noto come “Finestra di Overtone” (per approfondire la tematica, si veda il numero di maggio de Il Timone): un atteggiamento che fino a pochi anni fa era universalmente condannato, viene oggi sdoganato, diventando socialmente accettabile. Emblematico di questo processo composto di tanti piccoli tasselli concatenati tra loro, alcuni dei quali ancora di là da venire, è il commento di Graeme Reid, responsabile dei diritti Lgbt di Human Rights Watch: «La rimozione da parte dell’Oms del “disordine dell’identità di genere” dal suo manuale diagnostico avrà un effetto liberatore sulle persone transgender in tutto il mondo. Adesso i governi riformino rapidamente le leggi e i sistemi sanitari nazionali che richiedono questa diagnosi ormai ufficialmente superata».
Di fronte a questo dilagare della confusione rispetto l’identità sessuata, tuttavia, vi è anche chi tenta di porre un argine, a tutela di grandi e – con particolare attenzione – piccini.
È questo quanto hanno per esempio fatto i vescovi della Repubblica Dominicana che, in una dichiarazione diramata martedì 28 maggio, si sono esposti in opposizione all’ordine dipartimentale 33-2019 approvato il 22 maggio dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Dominicana.
Il documento – riporta AciPrensa – «“stabilisce la progettazione e l’attuazione della politica di genere come priorità” nei “diversi livelli, sistemi e sottosistemi di educazione pre-universitaria, nei suoi piani, programmi, progetti, strategie pedagogiche e attività amministrative”. L’ordine stabilisce anche “un periodo di 60 giorni per la presentazione di questa metodologia e il suo programma di lavoro”». Nella loro dichiarazione i vescovi domenicani hanno evidenziato la fallacia dell’ideologia gender, «che sradica la natura umana, ignora la biologia, ignorando i concetti scientifici inconfutabili», e hanno posto l’attenzione sul danno derivato dall’adesione a questa visione. Richiamando poi la posizione della Chiesa – attenta a favorire «l’equità tra le persone, l’amore per il prossimo, la sana convivenza e l’educazione in valori integri, senza escludere nessuna persona» – e ponendo l’accento sull’assoluta priorità della famiglia in campo educativo, i prelati si sono quindi appellati al fatto che «l’insegnamento dovrebbe sempre essere “basato sulla scienza e sui valori” e “non sulla percezione ideologica”», oltre a constatare che l’attenzione principale dovrebbe essere quella di aumentare «la qualità dell’apprendimento e di formare una consapevolezza critica, riflessiva ed etica».
Nel concludere, quindi, i vescovi hanno chiesto al Ministero della Pubblica Istruzione «spazi di chiarezza, trasparenza e partecipazione in cui discutere le idee e le proposte che possono essere implementate nel sistema educativo domenicano».
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