Quando ero un ragazzo, la mia educazione come cristiano è stata sempre in balia dei miei entusiasmi. In primo luogo, ci sono stati i dinosauri. Ricordo vividamente il mio shock quando, durante il catechismo, ho aperto la Bibbia per bambini e ho trovato una illustrazione di Adamo ed Eva con vicino un brachiosauro. Avevo solo sei anni ma di una cosa era certo: nessun essere umano aveva mai visto un sauropode. Il fatto che l’insegnante sembrava non preoccuparsi di questo errore ha solo aggravato il mio senso di indignazione e sconcerto. Una debole ombra di dubbio, per la prima volta, era stata portata a scurire la mia fede cristiana.
Con il tempo, l’oscurità è aumentata. La mia ossessione verso i dinosauri si è evoluta senza soluzione di continuità in un’ossessione verso gli antichi imperi. Quando ho letto la Bibbia, il focus del mio fascino era attirato non dai figli d’Israele o da Gesù e dai suoi discepoli, ma dai loro avversari: gli egiziani, gli assiri, i romani. In modo simile, anche se vagamente ho continuato a credere in Dio, l’ho trovato infinitamente meno carismatico dei miei preferiti dèi dell’Olimpo: Apollo, Atena, Dioniso. Piuttosto che stabilire leggi hanno preferito divertirsi. E anche se risultavano vani, egoisti e crudeli, questo serviva solo per dotarli del fascino da rock star.
Con il tempo ho letto Edward Gibbon e altri grandi scrittori del secolo dei Lumi, ero più che pronto ad accettare la loro interpretazione della storia: il trionfo del cristianesimo aveva inaugurato un'”età della superstizione e della credulità”, e la modernità era stata fondata sul ripristino dei valori classici a lungo dimenticati. Il mio istinto infantile del pensare al Dio biblico come il nemico diretto della libertà e del divertimento venne finalmente razionalizzato. La sconfitta del paganesimo aveva inaugurato il regno di “nobodaddy” e di tutti i crociati, inquisitori e puritani prevaricatori. Il colore e l’eccitazione erano stati drenati dal mondo. «Tu hai conquistato, o pallido Galileo», ha scritto Swinburne, facendo eco al lamento apocrifa di Giuliano l’Apostata, l’ultimo imperatore pagano di Roma. «Il mondo è diventato grigio dal tuo respiro». Istintivamente, ho accettato tutto questo.
Non è una sorpresa il fatto che ho continuato a custodire l’antichità classica come il periodo che più mi ha spronato e ispirato. Gli anni che ho trascorso a scrivere libri storici sul mondo classico mi confermavano il fascino che provavo per Sparta e per Roma. Ho continuato a inseguire le miei fantasie come avevano sempre fatto, come un dinosauro. Eppure questi carnivori giganti, anche se meravigliosi, sono per loro natura terrificante. Più mi immergevo nello studio dell’antichità classica, tanto più la trovavo alienante ed inquietante. I valori di Leonida, che portarono le persone a praticare una forma particolarmente criminale di eugenetica e ad educare i loro piccoli ad uccidere di notte, non erano i miei valori. Né lo erano quelli di Cesare, conosciuto per aver ucciso un milione di Galli e soggiogato molte più persone. E’ stato scioccante non soltanto rilevare livelli estremi di insensibilità, ma anche la mancanza di valore intrinseco del povero o del debole nella civiltà classica. Così, la convinzione fondante dell’Illuminismo -cioè che non dobbiamo nulla alla fede in cui siamo nati- mi è sembrata sempre più insostenibile.
«Ogni uomo di buon senso», ha scritto Voltaire, «ogni uomo d’onore, deve guardare alla setta cristiana con orrore». Piuttosto che riconoscere che i suoi principi etici arrivavano dal cristianesimo, ha preferito derivare essi da una serie di altre fonti, non solo letteratura classica, ma anche la filosofia cinese e i poteri della ragione. Eppure Voltaire, nella sua sollecitudine verso i deboli e gli oppressi, è stato segnato più durevolmente dal timbro dell’etica biblica di quanto volesse ammettere.
«Noi predichiamo Cristo crocifisso», ha dichiarato San Paolo, «scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili». Aveva ragione. Nulla avrebbe potuto essere più in contrasto con le convinzioni profonde dei suoi contemporanei -ebrei, greci o romani-, dell’idea che un dio avrebbe scelto di subire torture e la morte di croce. Era così sconvolgente da apparire ripugnante. La familiarità con la crocifissione biblica ha offuscato la nostra capacità di riflettere su quanto sia irrompente e unica la divinità di Cristo. Nel mondo antico, il ruolo che gli dèi hanno rivendicato era governare l’universo, mantenere l’ordine ed infliggere una punizione. Non soffrire loro stessi.
Oggi, mentre la fede in Dio svanisce in tutto l’Occidente, i paesi che un tempo erano cristiani continuano a portare il timbro dei due millenni di rivoluzione che il cristianesimo ha rappresentato. E’ la ragione principale per cui, in linea di massima, la maggior parte di noi abitanti delle società post-cristiane, ancora diamo per scontato che sia più nobile soffrire che infliggere sofferenza. E’ grazie al cristianesimo che diamo per scontato che ogni vita umana ha pari valore. Guardando la mia etica e la mia moralità, ho imparato ad accettare che io non sono greco o romano, ma profondamente e orgogliosamente cristiano.