È passato quasi un mese, in mezzo la Chiesa ha celebrato la Settimana Santa e la Pasqua, eppure ancora non si placa il fermento che ha generato la pubblicazione, da parte della Sala stampa vaticana, del Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede (qui il testo integrale) ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, con il quale si diceva che la cosa «non licet», non si può fare.
Anzi, non solo non si placa, aumenta. Quasi come se il documento vaticano altro non sia stato che il pretesto per spostare una questione fino ad ora tenuta abbastanza nell’ombra, seppure di certo non nuova in ambito ecclesiale e neppure circoscritta alla sola Germania, ossia quella relativa al mondo Lgbt e a quanto vi ruota attorno, in un campo di battaglia aperto, alla luce del sole. Tanto che, restando nella metafora, il gioco non si sostanzia più in mosse minori, purché nel loro incisive, in “frecciatine” lanciate in aria e lasciate cadere, in piccoli “spostamenti” dottrinali strategici, bensì in azioni scoperte, meglio se eclatanti, come il fatto di issare bandiere arcobaleno sulle chiese o di marchiare i profili Facebook ufficiali delle Diocesi – come ha fatto quella di Limburg, retta da monsignor Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) – con i colori Lgbt.
E nella stessa direzione di può leggere la decisione dei pastori tedeschi di programmare, per il prossimo 10 maggio, un «Bundesweiten Segnungsgottesdiensten für Liebende», ossia delle «Messe di benedizione per le coppie innamorate su tutto il territorio nazionale».
Quanti saranno i ministri di Cristo che prenderanno parte a questa iniziativa? Non è dato di sapere, a priori. Tuttavia, il clima e i commenti respirati in queste settimane seguenti al Responsum della Congregazione della dottrina della fede hanno fatto emergere in maniera evidente, se ancora vi fossero stati dei dubbiosi, che i prelati disposti a esporsi in prima persona per mostrare fedeltà a Roma e al Magistero di sempre sono la minoranza (si veda qui). Anche se, naturalmente, la speranza è che tra i consacrati vi siano molti “don Abbondio”: pavidi e incapaci di esporsi, ma nel loro intimo e nell’esercizio del loro ministero fedeli a quel Cristo al quale hanno donato tutto se stessi.
Nel contempo, non è neanche possibile sapere in anticipo come verrà accolta l’iniziativa dai fedeli: vi sarà sostegno, approvazione, incitamento per i sacerdoti che il 10 maggio benediranno le coppie dello stesso sesso, oppure no? Lo vedremo.
Tuttavia, si domanda giustamente Regina Einig sul Tagespost: «E adesso? Il popolo della Chiesa dovrebbe essere educato ad accettare l’infedeltà episcopale alla promessa di consacrazione e la semplice disobbedienza al dovere di mantenere l’unità come una sorta di imperativo pastorale?».
Ad ogni modo, ad oggi una cosa è certa: come scrivevamo su queste colonne un paio di settimane fa, dalla terra del “Cammino sinodale” spira sempre più forte un’aria di scisma. Scisma che adesso conosce anche una data, e più vicina di quello che in molti si erano prospettati: quella del 10 maggio.
Attendiamo di vedere quale sarà la reazione del Vaticano. Perché una cosa è certa: il silenzio sarà letto come un assenso.
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