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Lo chiamano Best Interest ma è un inganno contro la vita
NEWS 16 Dicembre 2021    di Federica Di Vito

Lo chiamano Best Interest ma è un inganno contro la vita

Per gentile concessione dell’editore e dell’autore pubblichiamo uno stralcio del libro di Alfredo Mantovano, Eutanasia. Le ragioni del no – Il referendum, la legge, le sentenze, Edizioni Cantagalli, pp. 215-221, 19,00

Il libro è inserito nel contesto della proposta di legge della Camera dei Deputati di legalizzazione dell’aiuto al suicidio e della eutanasia, sulla scia della sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, intervenuta sul “caso” Cappato/dj Fabo, e di sentenze di giudici ordinari. L’Associazione Luca Coscioni ha poi portato avanti una raccolta di firme per chiedere un referendum (parzialmente) abrogativo della norma del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente, confermando la considerazione della vita come un bene disponibile. Il giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale è previsto entro metà gennaio.

“Il referendum vuole abrogare parzialmente la norma penale che impedisce l’introduzione dell’Eutanasia legale in Italia. L’omicidio del consenziente, previsto dall’art. 579 c.p. infatti, non è altro che un reato speciale (rispetto a quello di portata generale di cui all’art. 575 c.p. sull’omicidio) inserito nell’ordinamento per punire l’eutanasia. Con questo intervento referendario l’eutanasia attiva, previa valutazione del giudice in sede processuale, potrà essere consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico”, queste le parole degli organizzatori.

Il volume fornisce ai lettori una previsione di quello che accadrà qualora venisse approvato il referendum, commentando articolo dopo articolo la proposta del relatore Bazoli e sottoponendo a esame le acquisizioni mediche più aggiornate in merito, agganciandosi agli esempi dei Paesi dove già è possibile richiedere di essere soppressi.

L’estratto che ci viene oggi donato come uno spiraglio aperto su una questione così delicata e dibattuta, si riferisce alla vicenda di Charlie Gard, di cui tutti ricorderemo l’hashtag creato in onore suo e dei suoi genitori #charliesfight. Sì, perché la loro è stata una vera e propria battaglia. Con un esercito di preghiera alle spalle, che però non è bastato a tenere lontana l’ideologia dello scarto dalla loro vicenda. Il loro caso viene sapientemente ricostruito in questo testo:

«Charlie Gard, Charles Matthew William “Charlie” Gard (4 agosto 2016 – 28 luglio 2017) era un bambino di Londra, nato con una rara malattia genetica che provoca danni cerebrali progressivi e insufficienza muscolare. Una malattia che causa, dunque, una grave disabilità e determina allo stato attuale delle conoscenze una bassa aspettativa di vita.

Pochi mesi dopo la nascita, a ottobre, Charlie viene ricoverato al Great Ormond Street Hospital (GOSH) di Londra, un ospedale pediatrico del National Health Service (NHS), ove viene avviato un trattamento già in corso di sperimentazione da alcuni anni in diversi centri clinici del mondo e che va sotto il nome di “trattamento con piccole molecole” (small-molecule treatment), un protocollo di cura che, a differenza di altri, risultava clinicamente ed eticamente accettabile. Solo due mesi dopo, a dicembre, a seguito di alcune crisi epilettiche ed in presenza di un quadro clinico grave ma stabilizzato, ovvero di morte non imminente, il GOSH si disse non più disponibile a proseguire il trattamento, che infatti venne sospeso, e aggiunse di essere anzi intenzionato a porre fine ai supporti vitali, ritenuti non più conformi al miglior interesse del minore. I genitori, pur consapevoli della grave disabilità del figlio e delle sue prospettive di vita, chiesero di trasferire – a loro cura e spese, grazie a oltre 1 milione di sterline di donazioni raccolte – il piccolo Charlie in un ospedale di New York per riprendere il trattamento.

A quel punto, l’ospedale si rivolse all’Alta Corte chiedendo un provvedimento inibitorio per i genitori e che consentisse l’immediata interruzione delle terapie di supporto vitale. Il Tribunale affermò che era nel migliore interesse di Charlie sospendere il trattamento sperimentale e le terapie di supporto vitale, impedendo ai genitori di Charlie di allontanarsi dal GOSH per sottoporlo a cure altrove, ad es. negli USA.

I genitori proposero appello, fondato sulla ingiustizia, in assenza di prove sulla dannosità dei trattamenti, di impedire al piccolo di ricevere cure da altri ospedali e sulla violazione dei diritti-doveri dei genitori in merito alle cure da somministrarsi al figlio. La Corte d’appello confermò la pronuncia di primo grado, ritenendo fosse stato valutato correttamente l’interesse superiore di Charlie e la mancanza di qualsiasi beneficio derivante dal trattamento con nucleosidi. I genitori impugnarono il provvedimento dinanzi alla Corte Suprema soprattutto evidenziando che un ospedale non può interferire nelle decisioni dei genitori, quali ed esempio quella di trasferire il figlio in un altro ospedale, ma il ricorso fu respinto ribadendo che il criterio giuridico fondamentale per le decisioni mediche riguardanti un minore legalmente incapace sia il “best interest” del soggetto. Ancora, i genitori si rivolsero alla Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, lamentando la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della CEDU da parte del Regno Unito nei confronti loro e del minore: l’autorizzazione all’interruzione delle terapie di sostegno vitale costituirebbe, secondo i ricorrenti, una violazione delle obbligazioni positive dello Stato per la tutela del diritto alla vita e della libertà degli individui. Essi invocavano inoltre la violazione degli articoli 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU nei loro confronti, sostenendo che la Corte d’Appello avesse definito la loro decisione genitoriale di proseguire i trattamenti tale da causare un “significant harm” al figlio. Secondo i ricorrenti, inoltre, i giudici inglese hanno interferito in modo non proporzionato nel loro diritto al rispetto della vita privata e familiare. Anche questo ricorso fu rigettato nella sua interezza.

Nel frattempo, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma si dichiarò formalmente disponibile ad accettare il trasferimento di Charlie e numerosi scienziati sottoscrissero un documento nel quale sostenevano, sulla base di nuovi risultati di laboratorio, l’incremento di probabilità di efficacia della terapia nucleosidica. Il New York Presbiterian Hospital si dichiarò disponibile non solo ad ospitare Charlie ma anche a fornire e somministrare (con proprio personale) il trattamento sperimentale presso il GOSH. Intervennero pubblicamente con offerte di assistenza ed espressioni di sostegno il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il suo vice Mike Pence, nonché Papa Francesco, il quale espresse la sua vicinanza ai suoi genitori “auspicando che non si trascuri il loro desiderio di accompagnare e curare sino alla fine il proprio bimbo”.

La High Court venne nuovamente adita dall’ospedale, che chiese un nuovo provvedimento di autorizzazione all’interruzione dei trattamenti necessario alla luce delle modifiche fattuali che hanno interessato la vicenda a seguito della notevole eco mediatica sollevatasi intorno alla vicenda ma soprattutto al fine di evitare ogni ambiguità legata alla possibilità di trasferire il bambino presso un’altra struttura sanitaria. Nel mese di luglio 2017 si tennero diverse strazianti udienze. Nel frattempo però, la mancata somministrazione delle cure fin da gennaio aveva determinato un aggravamento della condizione del piccolo Charlie. I genitori di Charlie ovviamente accusarono il GOSH di aver fatto in modo, sospendendo il protocollo sperimentale ed adendo le vie giudiziarie, di ritardare le cure fino al fine di renderle futili, impedendo per giunta ad altri ospedali e altri medici nel mondo di prendersi cura del piccolo. Chiesero almeno di poter portare a casa Charlie perché la sua vita terminasse lì e non in ospedale. In un incredibile crescendo di crudeltà, l’ospedale si oppose anche a questa richiesta affermando che i supporti vitali dovevano essere interrotti quanto prima. Con il provvedimento del 24 luglio 2017 la High Court conferma l’autorizzazione alla sospensione dei trattamenti intensivi per Charlie Gard: sarebbe questo il suo best interest.

Il 27 luglio 2017 Charlie fu trasferito in un hospice ed alle 18.30 del giorno successivo la madre ne comunicò il decesso. Il ventilatore meccanico era stato disattivato, fu somministrata morfina per alleviare il dolore e Charlie morì soffocato in pochi minuti. Aveva 11 mesi e 24 giorni.

La storia di Charlie è emblematica quanto al ruolo svolto dalla giurisdizione e alla pervicacia con cui è stato adito da un ospedale pubblico, in coerenza con quella mens eutanasica della quale si è detto. Se la sua vicenda era certamente eccezionale dal punto di vista medico-clinico, ed è prudente e rispettoso verso tutti i soggetti coinvolti non avanzare altre ipotesi esplicative, è altrettanto vero che “in mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità”. I genitori di Charlie erano chiamati ad esprimere in modo vicario la volontà del proprio figlio di dieci mesi ma questa facoltà, che si configura al tempo stesso come diritto e come dovere, non è stata loro concessa. Essi avrebbero lecitamente potuto rinunciare a far sottoporre Charlie alla terapia sperimentale se avessero ritenuto, sulla base delle informazioni cliniche acquisite, che i probabili effetti collaterali superassero di gran lunga i benefici attesi; ma, altrettanto lecitamente, dovevano poter esigere che il proprio figlio venisse sottoposto ad un protocollo terapeutico sperimentale approvato, in un centro di riconosciuta competenza scientifica ed esperienza clinica nel trattamento delle malattie mitocondriali. In tal modo essi si sarebbero avvalsi non solo della estrema possibilità di strappare il bambino a un destino di morte terrena, ma avrebbero offerto alla ricerca scientifica e clinica la possibilità di verificare l’efficacia di un approccio terapeutico innovativo e di potenziale beneficio anche per altri pazienti affetti da quella malattia.

L’ostinazione con la quale i genitori di Charlie sono stati estromessi, con cui si è inteso sospendere un trattamento di cura (quand’anche solo compassionevole) e, soprattutto, interrompere le terapie di supporto vitale, è l’epifania della “mentalità dello scarto” che sta dietro ogni proposta eutanasica: la decisione di privare dei supporti vitali un piccolo grave disabile con bassissima aspettativa di vita è stata presumibilmente guidata dai costi a carico del servizio pubblico nazionale inglese, pur se ciò non spiega la pervicacia nel non permettere cure altrove».

La vita ci appartiene? È questa la domanda che ci siamo fatti all’inizio. Alfredo Mantovano ci accompagna con la sua risposta. Ci fa entrare in confidenza con le storie di chi sembra essere così distante da noi, ma riguarda in realtà da vicino l’anima umana. Perché è di vita e di morte che si parla, e da queste non possiamo tirarci fuori.