La vittoria del centro destra è chiara. Giorgia Meloni vince le elezioni politiche del 2022, portando FdI a una percentuale in doppia cifra, oltre il 26% a Senato e Camera, un risultato che insieme a quello della Lega, intorno al 9%, e quello di FI, collocata all’8%, pone il centro destra a una percentuale del 44%.
Il centro sinistra è molto lontano, sia nelle percentuali, 26%, che, soprattutto, nelle stime dei seggi, sia al Senato che alla Camera. Il Pd, che ha scelto di fare una campagna schiacciata a sinistra, sventolando il solito pericolo fascismo e i diritti civili, esce con le ossa rotte e sembra non arrivare nemmeno al 20%. Con lui anche il resto della coalizione non fa buone performance. Il Paese cambia e volta pagina in modo netto.
Il governo sarà di centro destra, con Giorgia Meloni che si appresta a diventare la prima premier donna in Italia. «Governeremo per tutti gli italiani», le dichiarazione a caldo di Meloni, «con l’obiettivo di unire questo popolo, per esaltare quello che unisce, e far sì che si possa essere di nuovo orgogliosi di essere italiani. È il nostro compito e un compito che onoreremo» . E sarà un governo che, secondo le stime delle proiezioni, parebbe avere una maggioranza abbastanza forte in entrambe le camere, più sottile, ma comunque certa, al Senato
Recupera il M5s che resiste rispetto alle previsione, fornendo una performance superiore a quella attesa dai sondaggi. Con una percentuale intorno al 15%, pescando voti grazie anche ad una campagna elettorale fatta serrando i ranghi, Giuseppe Conte, in versione Melenchon all’italiana, passa all’incasso soprattutto al Sud.
Il Terzo polo Calenda-Renzi non arriva all’agognato 10%, ma si attesta su percentuali di un abbondante 7%
Quando in agosto parlammo con il sondaggista Fabrizio Masia ci disse, come abbiamo riportato sul Timone di settembre, che la partecipazione al voto sarebbe stata «ancora una volta in calo rispetto al dato delle politiche del 2018». È così è stato, affluenza al 63.91%. La campagna elettorale di soli due mesi, condotta in piena estate, il voto a settembre, a cui aggiungiamo il cattivo tempo di ieri al sud e l’età avanzata dell’elettorato, hanno prodotto l’affluenza più bassa della storia della repubblica italiana. A questo motivi è ovviamente da aggiungere, sottolineandolo bene, la crescente disaffezione e il baratro tra la gente e le offerte politiche (forse proprio qui si spiega comunque l’affermazione storica di Giorgia Meloni e del partito conservatore che rappresenta).
A questo proposito attendiamo il nuovo governo alla prova dei fatti, consapevoli che le cose da affrontare sono ardue e complesse, e il popolo italiano chiede di essere ascoltato. Sul prossimo numero del Timone, quello di ottobre, metteremo nero su bianco la nostra agenda, alcuni punti per noi importanti e sui cui attendiamo il prossimo governo.
John Farina, professore di studi religiosi alla George Mason University degli Stati Uniti, che ha vissuto e insegnato in Italia, ha detto ieri, prima di sapere i risultati, al National catholic register, parlando dell’ascesa di Giorgia Meloni, che «è un errore cancellare questi movimenti come ‘nazionalisti’». Si riferiva ai cosiddetti «populismi», che si stanno manifestando anche in Svezia e in Canada, perché, ha ricordato Farina, gli italiani, come gli altri, «vogliono essere liberi dall’idea che dovrebbe essere detto loro cosa è meglio» fare o non fare. In queste parole c’è il contenuto vero del cambiamento che gli elettori hanno spinto in Italia, lo spaesamento di tanti commentatori dei media “mainstream” sottolinea ancora una volta il fossato che si è aperto tra il paese reale e le cosiddette élite. Enorme.
Non sarà facile colmarlo, soprattutto da parte di chi continua a non volerlo vedere.
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