Dalla presentazione de L'inviato, di Michael O'Brien, appena pubblicato da Fede & Cultura:
«Attesissimo sequel dell’acclamato thriller Il nemico, L’inviato è il capitolo finale della trilogia di Padre Elia, ebreo convertito e sopravvissuto alla Shoah, chiamato dal Papa a opporsi all’Anticristo annunciato nella Bibbia. Lo vediamo giungere a Gerusalemme per strappare la maschera al Presidente dell’Unione Europea, leader politico mondiale che predica un nuovo mondo e il superamento di tutte le differenze in chiave umanitaria. Riuscirà Padre Elia a trovare dentro di sé la forza per portare a termine la sua missione, anche quando tutto sembrerà perduto e le tenebre avvolgeranno ogni cosa?»
Dall’intervista di Leone Grotti a Michael O’Brien, Meeting di Rimini 2008:
«Un giorno ero in chiesa a piangere e pregare in ginocchio per la condizione disastrosa della Chiesa in Canada. Poi è avvenuto un miracolo: si è presentata chiara alla mia mente tutta la storia di padre Elia. Non poteva averla prodotta la mia immaginazione: ho percepito chiaramente che dovevo scrivere questa storia». Michael O’Brien, scrittore de Il nemico e Il libraio, racconta così la rocambolesca e sorprendente nascita del suo primo romanzo. «Ma non credere che dopo averlo scritto l’abbia pubblicato – continua l’autore – ci ho messo otto mesi per finirlo, e poi l’ho riposto sopra un comodino. Avevo fatto quel che dovevo fare». E com’è avvenuto che Il nemico sia stato tradotto in sette lingue, e abbia venduto milioni di copie? «Per caso» ammette O’Brien. «Un editore cattolico americano, per cui scrivevo piccoli saggi, mi ha chiesto se avevo qualche scritto. Gli ho risposto a malincuore che avevo un romanzo, e che non poteva interessargli. Non volevo darglielo, anche perché la spedizione costava dieci dollari e io avevo sei figli da sfamare. Quando mi hanno detto che me li avrebbero rimborsati, ho ceduto. Nel 1996 è stato pubblicato». Pittore, saggista e romanziere di sessant’anni, nato a Ottawa in Canada, Michael O’Brien parla della sua esperienza di artista cattolico «in una delle società più liberali in materia morale, anticristiane e ostili alla vita del mondo».
Che cosa le ha fatto percepire una minaccia tale da scrivere un libro sull’Anticristo come Il nemico?
«Quando ho spedito il mio libro a degli editori canadesi mi hanno risposto: “Grazie, scritto molto bene. Ma qui la visione del mondo cristiana non interessa più a nessuno”. La Chiesa del Canada all’epoca era molto debole per colpa di tanta finta teologia cattolica. Siamo in una fase decisiva della guerra spirituale tra bene e male: ogni dimensione dell’uomo è in crisi».
Pensa che stia per arrivare la fine del mondo?
«Attenzione: il mio approccio all’Apocalisse non è protestante né isterico, ma cattolico. Non sono mica Dan Brown. Nel mio libro viene posta una domanda e mostrato un fatto. Gesù ha detto “State desti e vigilate” e viene chiesto al lettore: “Tu sei vigile e attento?”. Il fatto, invece, è la positività che emerge anche dalle tenebre del mondo: la vittoria di Cristo».
Qual è il tema principale del suo nuovo lavoro, Il libraio?
«Un grande problema della contemporaneità: la mancanza della paternità, celeste e umana. Il libro racconta la ricerca di un Dio presente, che sembra invisibile, e di una paternità spirituale, soprattutto attraverso l’incontro tra un libraio polacco e un giovane ebreo nella Varsavia occupata dai nazisti».
Lei, in qualità di scrittore cattolico, che responsabilità sente di fronte a questo scenario?
«Lo scrittore cattolico deve dire tutta la verità sull’uomo: grandezze e fallimenti. Ma lo deve fare con uno sguardo d’amore».
Quali sono gli autori e le opere da cui ha imparato di più?
«L’idiota di Dostoevskij, ma anche I Promessi Sposi e il Cavallo Rosso di Corti. Non posso non citare Flannery O’Connor e Tolkien. Da ognuno di loro ho scoperto che la debolezza, se radicata in Cristo, può cambiare gli equilibri del mondo» […]