Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo uno stralcio dal libro Dio è morto? Un vescovo del nostro tempo in dialogo con Drieu Godefridi, ed. Cantagalli
di André-Joseph Leonard
Nel corso degli ultimi secoli, l’apologetica ha un po’ avuto una fama negativa. La si è considerata come una strategia di autogiustificazione e di recupero di quelli che non la pensano come noi. Eppure, io ritengo che si tratti di un’opera indispensabile. È indispensabile, anzitutto, per gli stessi cristiani, per rendere ragione della loro fede. La grazia presuppone in effetti la natura, e non la delegittima. E se qualcuno pone la sua fede in Dio, che non vede, e nel Cristo crocifisso, che non ha potuto vedere, e resuscitato, che è già più difficile da rappresentarsi, si devono avere delle ragioni per farlo; non può essere solamente un richiamo del sentimento, l’espressione di un bisogno, di un desiderio. Deve essere giustificabile, credibile. Si deve poter argomentare, perché la fede, che è un atto dell’intelligenza, sia degna dell’intelligenza.
D’altra parte, l’apologetica è indispensabile per il dialogo con coloro che non credono. Bisogna poter discutere con loro sul loro piano, senza accontentarsi di dire: il Corano, la Torah o il Vangelo ha detto così o cosà. In questo modo si butta li un argomento di autorità che vale quel che vale, ma, in un contesto del genere, si deve poter argomentare diversamente.
Perché mi sono cosi tanto impegnato in questo? È perché, trovandomi ad essere professore in ambito universitario, mi sono dovuto confrontare con le domande degli studenti. Lei crede veramente a queste cose? È possibile che si creda a cose simili? Siccome, oltre ai miei corsi di filosofia, ho avuto anche l’incarico di tenere un corso di tematiche religiose, che faceva parte di una serie di corsi opzionali, ho proposto un corso sulle ragioni del credere. Perciò mi sono imposto di sviluppare una riflessione per tenere un corso di sole tredici ore. Dovevo fare tutto un percorso, e stato entusiasmante. E devo dire che ha appassionato un bel po’ anche gli studenti, che si interessavano a questa iniziativa. Nel mio libro inizio col porre la domanda: è importante una giustificazione razionale della fede, sia per quelli che credono sia per quelli che non credono? Ci sono state diverse tendenze nella storia della Chiesa, come sempre. Ci sono stati quelli che dicevano: no, la fede si giustifica per se stessa. E questo ha condotto a quel che viene chiamato il fideismo: credo perché credo, la fede giustifica se stessa, il che è vero sotto certi aspetti.
Ma se ci si ferma qui, non esiste dialogo con quanti non credono e inoltre, come diceva Prevert, a forza di credere a ciò che credo, rischio di gracchiare anziché pensare. L’altra tendenza estrema è stato il razionalismo, che consiste nel tradurre la fede in un sistema razionale. La gnosi ha chiaramente tentato di riprendere l’eredita cristiana, ma trasferendola a servizio di una specie di iniziazione intellettuale che porta oltre l’umanità di Cristo, considerata indegna della grandezza di Dio. È un’impostazione della fede in Dio che comprende la tradizione cristiana, ma trasponendola. Grandi filosofie, come quella di Hegel, sono state una forma geniale di gnosi filosofica. Si riprende più o meno tutto il patrimonio cristiano e lo si trasferisce in un sistema filosofico.
Questi sono i due estremi. La Chiesa ha dovuto cercare un po’, ma, grazie a delle grandi figure del pensiero cristiano come Giustino, Clemente d’Alessandria, Anselmo di Canterbury o Tommaso d’Aquino, si e arrivati ad un equilibrio che naviga molto bene tra Scilla e Cariddi, tra il fideismo e il razionalismo. Questo equilibrio evidenzia l’importanza di una giustificazione razionale della fede, i preambula fidei (“i preamboli della fede”).