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L’immagine sacra e la bellezza, una via che apre gli occhi
NEWS 16 Dicembre 2018    di Francesco Cavina

L’immagine sacra e la bellezza, una via che apre gli occhi

Pubblichiamo una parte della conferenza La Chiesa e la cultura occidentale tenuta da monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, davanti a sessanta insegnanti (nella foto sopra il duomo di Carpi rinnovato dopo il terremoto del 2012)

L’immagine sacra – che raffigura Cristo, la Vergine Maria e i santi – deve essere degna di loro. In altre parole, deve essere bella. Perché? Perché la Bellezza, secondo quanto insegna Platone, è l’equivalente del Bene. La Bellezza è, dunque, indispensabile per rappresentare il Bene supremo, che è Dio. La Bellezza diviene, dunque, una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo dell’esistenza umana, Dio. Attraverso la bellezza viene comunicata all’uomo una scossa che lo risveglia, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano e gli apre nuovamente gli occhi del cuore e della mente.

Il Vescovo di Costantinopoli, Fozio, in occasione della consacrazione di una chiesa, dopo avere confrontato l’Antico e il Nuovo Testamento, proclamò il secondo superiore al primo non perché contenesse la verità mentre, secondo la mentalità del tempo, l’altro ne era solo l’ombra, ma a causa dell’incomparabile bellezza dell’arte della Chiesa, che innalzava a Dio. E’ facile immaginare quale fosse la responsabilità degli artisti e il loro impegno per elevarsi al livello di tali esigenze. Si tratta di una sfida che ha trovato la sua risposta nell’incontro tra fede e ragione, intese come due mondi non contrapposti, inconciliabili, ma distinti e armonicamente vicini.

Per avere una testimonianza di quanto sia feconda l’alleanza tra fede e ragione è sufficiente entrare in una delle tante cattedrali romaniche e gotiche di cui è disseminata l’Europa. In esse si trova una mirabile sintesi tra realtà sociale, abilità tecnica e fede, che si uniscono insieme per raggiungere una finalità culturale e religiosa. E’ possibile comprendere meglio questo discorso se ricordiamo il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale della cattedrale di Saint-Denis, a Parigi: «Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia risplendere gli spiriti, affinchè con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta».

Queste parole affermano chiaramente che le arti: pittura, architettura, musica…hanno la missione di rendere capace l’uomo di vedere la luce del divino, così come è accaduto agli apostoli nell’episodio evangelico della Trasfigurazione dove sono stati resi testimoni della luce divina che promanava dalla umanità di Cristo. Qualche esempio per spiegare questa affermazione. San Giovanni Damasceno esprime questo concetto in maniera molto semplice: «Vidi l’immagine di Dio e la mia anima fu salva». L’ordine dei sacerdoti teatini aveva ed ha questo motto: «Sia povera la cella, sobrio il vitto, ma ricca la chiesa». Per quale motivo? Perché il culto dovuto a Dio non toglie nulla ai fedeli, ma al contrario li eleva dalla fatica della vita quotidiana. L’arte, la liturgia sono un’anticipazione del Paradiso. Pertanto le chiese non possono riprodurre la stessa ordinarietà o le stesse brutture della vita quotidiana. Diversamente come potrebbero elevare la nostra anima? Lo ha ben compreso san Carlo Borromeo che ha venduto tutte le ricchezze di famiglia per i poveri e viveva in povertà, ma celebrava con paramenti di straordinaria bellezza e ricchezza. Lo sapeva san Giuseppe Cafasso, il prete dei poveri e dei carcerati che a quanti imputavano alla Chiesa la “colpa” di arricchire gli edifici di culto rispondeva: «Siamo tanto materiali che abbiamo bisogno di queste esteriorità per pregare bene, sì che ne sentiamo l’effetto anche senza volerlo».

Poi, Goethe. Era un protestante ferocemente avverso al Cattolicesimo. Tuttavia nel Viaggio in Italia, racconta della bellezza indicibile del Miserere di Allegri e degli Improperi del Venerdì Santo. Scrive: «Nelle funzioni papali, segnatamente nella Cappella Sistina, tutto ciò che nei riti cattolici riesce di solito urtante avviene in una cornice di straordinario bon gusto e di perfetta dignità; e così può essere solo lì, dove da secoli le arti stanno a disposizione» (Viaggio in Italia, I 5 Meridiani, Mondadori 1983, 593). Poco prima aveva descritto in maniera canzonatoria il papa e la chiesa di Roma, ma le arti e la liturgia lo estasiarono. Se in Goethe l’arte liturgica ha innescato solo un’esaltazione estetizzante, nel beato cardinale Newman l’ammirazione per le chiese italiane ha determinato la sua conversione.

L’arte e la musica sacra possono convertire anche oggi. San Giuseppe Cafasso diceva: «Il canto ben eseguito rapisce l’anima e eccita alla devozione; mentre in caso contrario fa scappare di chiesa». La Chiesa ha sempre favorito l’arte ed in particolare l’arte sacra perché in essa vedeva uno strumento per suscitare l’amore a Dio, per facilitare la preghiera, per fare conoscere i contenuti della fede. Pensiamo solo, a questo riguardo, agli affreschi e ai portali marmorei delle cattedrali romaniche e gotiche. Un artista che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, Marc Chagall (pittore russo, di religione ebraica, 1887-1985), ha scritto che «i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che era la Bibbia». In conclusione i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati.


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