Cecilia Sala è stata liberata e ieri è tornata a Roma a casa sua. Tutto è successo molto velocemente, dopo appena tre giorni dal viaggio lampo della premier Giorgia Meloni in quel di Mar-a-Lago, quartier generale del prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ieri mattina la notizia:
È in volo l’aereo che riporta a casa Cecilia Sala da Teheran.
Grazie a un intenso lavoro sui canali diplomatici e di intelligence, la nostra connazionale è stata rilasciata dalle autorità iraniane e sta rientrando in Italia. Ho informato personalmente i genitori della giornalista…— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) January 8, 2025
L’affaire della giornalista italiana rinchiusa nel carcere di Evrin, a nord di Teheran, una prigione riservata soprattutto a dissidenti, giornalisti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose, era iniziata lo scorso 19 dicembre. Accusata da Teheran di nebulose «violazioni della legge islamica», la cattura della Sala era apparsa fin da subito legata a doppio filo con il fermo in Italia dell’ingegnere svizzero-iraniano Mohammad Abedini, arrestato a Milano su mandato degli Stati Uniti che ne chiedono l’estradizione in quanto sarebbe affiliato ai pasdaran di Teheran, coinvolto nel traffico di tecnologie indispensabili per il controllo dei droni.
La liberazione, inattesa, ieri mattina. A prelevare Cecilia Sala, non a caso, è andato Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise, i nostri servizi di intelligence esteri, a bordo del Falcon 900 in dotazione alla Compagnia aeronautica italiana che fa capo ai servizi. Questo è il primo elemento da valutare per capire chi ha giocato ruoli determinanti nel risultato dell’operazione.
La liberazione di Sala, che deve essersi svolta in una triangolazione Italia-Iran-Stati Uniti, ha visto innanzitutto un ruolo fondamentale dei nostri servizi (coordinati dal sottosegretario Alfredo Mantovano), in quei tavoli «informali» in cui si negoziano appunto questo tipo di faccende, e in cui i nostri sono stati bravi nel trovare le chiavi giuste, insieme agli omologhi iraniani, per offrire alla politica la via d’uscita. Questi passaggi, ovviamente, sono ad oggi «segreti».
Ma l’altra figura determinante, lo riconoscono unanimi anche quelle opposizioni che fino a poche ore fa sbertucciavano il suo viaggio a Mar-a-Lago a vario titolo, è stata quella della premier Giorgia Meloni. Nel viaggio lampo negli Usa per incontrare Trump, come ha scritto il New York Times, la premier italiana ha «premuto aggressivamente» per la liberazione di Cecilia Sala. In che termini non si sa, ma certamente, come anche noi avevamo rilevato, saranno state trovate le modalità giuste per forzare un po’ la mano nei rapporti di “buon vicinato” con Washington.
Ora resta da capire, per inquadrare meglio tutta la faccenda, la sorte dell’ingegnere svizzero-iraniano Abedini. Ieri erano circolate voce di una sua imminente liberazione e rimpatrio in Iran, voci attribuite vicine al prossimo segretario di stato americano Rubio, ma finora senza esito.
Di certo c’è il successo indiscusso del lavoro coordinato di intelligence e di Palazzo Chigi, con un ruolo chiave della premier Meloni e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Aver riportato a casa Cecilia Sala è un fatto contro cui, dicevano i latini, non valet argumentum.
(Foto Ansa)
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