Libera nos. Il trionfo sul male, un film durato dieci anni per arrivare a mostrare la verità del rito dell’esorcismo. Quella mai rappresentata, lontana anni luce da L’esorcista (film del ’73 tra i più imitati nella storia) o da altre pellicole interessate esclusivamente all’aspetto sensazionalistico, quasi sempre scivolate in scorrettezze e banalizzazioni intorno a quello che, invece, è un luminoso e fondamentale rituale cattolico.
Il docufilm di Giovanni Ziberna Valeria Baldan – registi (e sposi) nati professionalmente alla scuola di Ermanno Olmi – vuole invece raccontare ciò che l’esorcismo è veramente, ossia l’esercizio del mandato di Gesù ai suoi discepoli: «Scacciate i demoni nel mio nome». La pellicola, che ieri ha avuto la prima nazionale a Brescia e che nelle prossime settimane girerà l’Italia, ha ricevuto il prezioso patrocinio dall’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE). Non è un caso che Libera nos. Il trionfo sul male si apra proprio con un’intervista inedita a Gabriele Amorth, il sacerdote esorcista che nel ‘94 fondò l’AIE e a cui gli autori hanno dedicato il film. In attesa di veder il film nelle sale (qui il trailer), il Timone ha incontrato il regista.
Ziberna, come è nata l’idea di girare un film così particolare?
«Subito dopo la mia conversione, cioè 11 anni fa, un esorcista mi chiamò per aiutarlo per fare da ausiliare. La provvidenza volle che avevo divorato i libri di padre Amorth, per cui ero preparato, sapevo cosa fare. L’idea del film nasce proprio da quella prima esperienza».
Cosa fa precisamente l’ausiliare in un esorcismo?
«Oltre a preparare la sala, l’ausiliare aiuta l’esorcista a tenere fisicamente la persona posseduta, affinché non si faccia male o non faccia male a qualcuno».
Come è avvenuto che il sacerdote la chiamasse?
«Per caso. Ero a Collevalenza per un Convegno su Veronica Giuliani, santa su cui con mia moglie girammo quello che è il nostro precedente lavoro cinematografico, Il risveglio di un gigante. Il sacerdote, forse vedendomi abbastanza robusto, mi chiese di aiutarlo».
Nel tempo, cosa ha scoperto assistendo agli esorcismi?
«Che c’è una grande luce che avvolge questo rituale. Esattamente all’opposto di ciò che viene raccontato in tanti film, in cui regna un clima di terrore, un’impotenza del sacerdote e un’estrema forza del demonio, quasi pari a quella di Dio».
E invece?
«Nell’esorcismo, al contrario, non si può non toccare con mano la grande potenza di Dio, di un Dio che libera e guarisce. Ciò che ho visto mi ha acceso il desiderio di raccontare l’esorcismo per quello che è alla luce della verità evangelica e del magistero della Chiesa, e cioè niente di meno che il trionfo del bene contro il male».
Quanto è stato importante scoprire questo rito per il suo percorso di fede?
«Direi che è stata la mia “università spirituale”. All’interno di quel rito ho capito l’importanza della preghiera, del rosario, dell’intercessione dei santi. Tutte cose oggi snobbate, ma che nell’esorcismo lasciano trasparire la loro infinita potenza. Le preghiere al diavolo fanno malissimo, e lì lo si vede in modo plastico, incontrovertibile».
Come si fa a vedere che al demonio le preghiere “fanno male”?
«Vede, l’esperienza dell’esorcismo è sì quella della sofferenza della povera persona posseduta, quindi della necessità dell’opera di carità che è la sua liberazione, ma durante l’esorcismo chi ha davvero paura è il diavolo, il quale urla e maledice poiché viene cacciato, sconfitto».
Cosa direbbe a coloro che pensano si tratti di problemi psichici o addirittura di simulazioni?
«Che l’esperienza sul campo non lascia dubbi sulla veridicità dei fatti. Sia perché ci si trova davanti a fenomeni preternaturali, che vanno cioè al di là delle leggi fisiche, sia perché assistendo al rito, si ha chiara consapevolezza di avere a che fare con un’entità senziente e assolutamente malvagia».
Facciamo un passo indietro. Prima di fondare, con sua moglie, la casa di produzione cinematografica “Sine Sole Cinema”, lei è cresciuto professionalmente alla scuola di Ermanno Olmi. Che ricordo conserva di lui?
«Quello di una persona che mi ha accolto in famiglia, anche in modo un po’ privilegiato, forse perché ero molto giovane. Mi portava a lavorare a casa sua, e il fatto che a poco più di vent’anni mi abbia concesso di firmare il montaggio di un film importante come Tickets, girato con Ken Loach e Abbas Kiarostami, è una cosa rarissima per il nostro ambiente».
Olmi aveva la fama di essere anche burbero…
«Aveva anche un carattere forte. Ma personalmente posso dire che quello che mi ha lasciato è l’amore e la sorpresa per tutto ciò che lo circondava. Poteva essere intrappolato nel traffico, in ritardo, con mille preoccupazioni, ma se notava un uccellino era capace di fermarsi a guardarlo. E di farlo con la stessa innocenza, stupore e delicatezza che poi riportava nei suoi film. La mia carriera di regista la devo a lui».
Fino a pochi anni fa lei era alquanto lontano da Dio, tanto che non era battezzato. Com’è nata la sua conversione?
«In realtà non ero un ateo “puro”, ero comunque alla ricerca di Dio, solo che ero convintissimo che non lo avrei mai trovato nella Chiesa Cattolica. Ero molto anticlericale, ma in realtà, come tanti, ero dentro una grande ignoranza delle cose. Una prima rivelazione di Dio l’avevo avuta contemplando il creato, che comunque continua a “gridare” che un Creatore c’è, che non può essere tutto frutto del caso. Intuizioni valide, certo, ma ancora lontane dalla verità di Cristo».
C’è stato un episodio-chiave che ha accelerato il suo percorso di scoperta?
«La mia conversione è il frutto di tanti episodi incastonati. Direi che la prima tappa fu quando, in un festival cinematografico a San Giovanni Rotondo, mi chiamò Eusebio Ciccotti, saggista e critico cinematografico. Questi, dopo aver visitato la tomba di padre Pio, mi disse che “sentiva” che io e mia moglie avremmo dovuto fare un film su Santa Veronica Giuliani. Ci mise quindi in contatto con Fra Emmanuele, presidente libanese dell’associazione “Amici di Santa Veronica”, il quale da tempo desiderava fare questo film. Poi l’idea è sembrata quasi cadere…».
E come è rifiorita?
«Da un altro particolarissimo episodio. Una signora di Foggia aveva sognato il regista del film su Santa Veronica Giuliani, e la descrizione corrispondeva esattamente alla mia figura, cosa stranissima perché non sono un regista conosciuto ai più, allora come oggi. Insomma, evidentemente quella era la volontà del Signore. Fra Emmanule allora ci richiamò, aggiungendo che siccome sapeva che il film sarebbe stato avversato dal demonio (cosa che puntualmente accadde), io avrei avuto bisogno di una benedizione. Per farla breve, nel riceverla sentii un fuoco che bruciava e che mi donava una grande pace, insieme ad un immenso “sorriso” interiore».
Fu quella preghiera a farla rinascere a vita nuova?
«Assolutamente sì. Da lì il battesimo, la cresima e questa fame di Dio che non accenna a diminuire, anzi. Mia moglie, intanto che mi accadevano queste cose, viveva un percorso analogo di conversione».
Così siamo arrivati a Libera nos. Il trionfo sul male, che intreccia interviste a esorcisti, teologi e medici, a scene di fiction in cui viene rappresentato il rito dell’esorcismo in modo veritiero.
«È così. Ripeto, non abbiamo puntato sugli “effetti speciali” per stupire e magari non lasciare nulla allo spettatore. Piuttosto, attraverso una visione coinvolgente, realistica e spero suggestiva, abbiamo voluto far comprendere a fondo il ministero dell’esorcistato, che è uno dei mandati di Cristo».
La possessione suscita normalmente moltissime domande. Crede che il film riesca a rispondere a tutte le questioni sollevate?
«In Libera nos ci sono interviste ai più importanti esorcisti. Oltre a don Gabriele Amorth, nel film parla anche padre Francesco Bamonte, l’attuale presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti. Alle loro testimonianze (a cui si aggiungono quelle di don Matteo de Meo, di fra Benigno Palilla e di padre Paolo Carlin) si sommano anche quelle di stimati teologi (don Renzo Lavatori, padre Francesco Guerra, don Fabio Rosini), nonché medici con profonda esperienza nel campo, come il dottor Valter Cascioli. Questi nomi, insieme al tutoraggio del progetto fatto da padre Bamonte e dall’intera AIE, unitamente ai non pochi anni di lavorazione del film, credo siano una garanzia di serietà, bellezza e importanza del progetto».
Come fare per vedere il film nella propria città?
«Il consiglio è quello di scriverci all’indirizzo che si trova sul sito di “Sine Sole Cinema”, indicandoci le sale cinematografiche più sensibili e pubblicizzando l’evento attraverso gruppi e parrocchie. Io e mia moglie cercheremo di renderci il più possibile disponibili ad accompagnare la proiezione con la nostra testimonianza. Sul nostro sito c’è l’elenco delle città, già tante e importanti, dove il film sarà proiettato nelle prossime settimane».
(Foto: screenshot Sine Sole Cinema)
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