Un’analisi del Pew Research Center illustra la crisi di fede in Europa, pur con importanti differenze tra i Paesi dell’area occidentale e quelli dell’area centro-orientale, che in generale divergono anche nel modo di considerare alcune questioni sociali. L’analisi dell’istituto di ricerca statunitense unisce i risultati di due suoi precedenti studi, pubblicati tra maggio 2017 e maggio 2018 (del secondo abbiamo già scritto qui): complessivamente sono stati intervistati, per via telefonica o faccia a faccia, quasi 56.000 adulti, dai 18 anni in su, appartenenti a 34 Paesi europei. Bisogna poi tenere conto che ai fini dell’indagine l’attribuzione all’area occidentale (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera) o centro-orientale (Armenia, Bielorussia, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Estonia, Georgia, Grecia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Ucraina, Ungheria) non è sempre giustificata su base geografica.
RELIGIONE E IDENTITA’ NAZIONALE
Una prima differenza si registra nelle percentuali di coloro che dicono che «sarebbero disposti ad accettare musulmani nella loro famiglia» (questione che riguarda, per esempio, i matrimoni interreligiosi): in tutti i Paesi centro-orientali considerati, con l’eccezione della Croazia (57%), meno della metà degli intervistati ha risposto affermativamente, con valori che oscillano dal 7% dell’Armenia al 47% della Slovacchia. Gli intervistati italiani risultano per il 43% disposti ad accettare musulmani in famiglia, il dato più basso tra i Paesi occidentali e mediano tra i 34 Paesi oggetto dell’indagine. La stessa domanda è stata posta in relazione agli ebrei e – in confronto con i musulmani – le percentuali di coloro che si dicono disposti ad accettarli nelle proprie famiglie crescono ovunque (l’Italia è al 57%), con l’eccezione della Bosnia, dove approssimativamente metà della popolazione è di fede islamica.
Una differenziazione simile tra Europa dell’Est e dell’Ovest, sebbene con alcune eccezioni che rendono il quadro più variegato, si registra riguardo alle risposte sull’importanza della religione cristiana per l’identità nazionale. Gli otto Paesi con le percentuali più alte, tendenti cioè ad affermare che l’essere cristiano è «molto/piuttosto importante» per l’identità nazionale, sono tutti dell’Europa centro-orientale: Armenia (82%), Georgia (81%), Serbia (78%), Grecia (76%), Romania (74%), Bulgaria (66%), Polonia (64%), Moldavia (63%). Sono prevalentemente Paesi con una dittatura comunista alle spalle, che dopo essersi liberati dall’ateismo di Stato stanno vivendo una riscoperta della fede cristiana.
Il primo Paese occidentale in questa classifica è il Portogallo (62%), seguito da altri quattro Paesi dell’ex blocco «rosso» (Bosnia, Croazia, Russia, Lituania) e poi dall’Italia (53%), solo quattordicesima: come contraltare di questo dato, c’è che ben il 45% degli italiani intervistati affermano che essere cristiani è «per nulla/non molto importante» per l’identità nazionale. Perfino più critica la situazione nei Paesi a maggioranza protestante.
Nell’Europa centro-orientale, inoltre, c’è nel complesso un più forte senso di appartenenza alla propria cultura (mentre nella parte occidentale c’è una più diffusa opinione positiva sul multiculturalismo) e gli intervistati indicano, a maggioranza a volte larghissima, che la nascita (si va dal 56% della Slovacchia all’88% della Romania) e gli antenati (dal 56% dell’Estonia al 92% dell’Armenia) sono due fattori chiave per l’identità nazionale. Tra i Paesi occidentali spicca il Portogallo (81% di importanza per la nascita, 80% per gli antenati), seguito dall’Italia: nel nostro Paese il 68% e il 75% degli intervistati ritengono rispettivamente che la nascita e gli antenati sono «molto/piuttosto importanti» per l’identità nazionale.
«NOZZE» GAY E ABORTO
Se si vanno a vedere i dati relativi all’opposizione alle cosiddette «nozze» gay, si scopre che i primi 18 Paesi sono tutti dell’area centro-orientale: tra questi, si va dal 47% di no della Slovacchia al 96% dell’Armenia. Di contro, ai primi tre posti dei Paesi più favorevoli alla legittimazione delle unioni omosessuali figurano la Svezia (88%), la Danimarca e l’Olanda (entrambe all’86%). In Italia si dichiarano a favore il 59% degli intervistati, mentre i contrari rappresentano il 38%. In altre due nazioni occidentali dal grande passato cattolico ma oggi fortemente secolarizzate, la Francia e la Spagna, il rifiuto della morale naturale in questo ambito è ancora più alto che da noi, collocandosi rispettivamente al 73% e al 77%.
In tema di difesa della vita umana dal concepimento, i primi 12 Paesi più virtuosi sono ancora una volta dell’Europa centro-orientale, seppur sempre con significativi divari: il dato migliore è della Georgia, con l’85% di opposizione all’aborto «in tutti o nella maggior parte dei casi», stando al quesito posto dal Pew Research Center; i primi tre Paesi dell’Europa occidentale nell’opposizione all’aborto risultano essere il Portogallo (34% di no), l’Italia (32%) e l’Irlanda (30%).
IMPORTANZA DELLA FEDE NELLA PROPRIA VITA
Anche la pratica religiosa è relativamente più forte nell’Europa centro-orientale. Intanto, consideriamo gli intervistati che affermano che «la religione è molto importante nelle loro vite»: sono il 55% in Grecia, il 54% in Bosnia, il 53% in Armenia, il 50% in Georgia e Romania, il 42% in Croazia e Moldavia, il 36% in Portogallo, di nuovo primo nell’Europa occidentale. E l’Italia? Da noi la religione è «molto importante» solo per il 21% dei rispondenti, poco meno di Spagna (22%) e Irlanda (23%), e quasi il doppio della Francia (11%).
Il nostro Paese sale per una volta sul podio se si guarda alla partecipazione «almeno mensile» alle funzioni religiose: siamo terzi (43%), dietro la Romania (50%) e la Polonia (61%). Ci seguono a ruota la Croazia (40%), la Georgia (39%), la Grecia (38%), l’Irlanda (37%) e il Portogallo (36%). Ricrolla invece al 21% il dato degli italiani intervistati che dicono di «pregare giornalmente» (la stessa percentuale appunto di coloro che considerano la fede molto importante nella propria vita): in questo caso domina la graduatoria la Moldavia (48%), seguita da Armenia (45%), Romania (44%), Croazia (40%), Georgia (38%) e Portogallo (37%).
«CREDI IN DIO?»
Chiudiamo con un’ultima curiosità, anche se la ricerca presenta altri dati interessanti. Alla domanda «credi in Dio?» si va dal 29% di sì del campione della Repubblica Ceca (nel complesso la più secolarizzata nell’area centro-orientale) al 99% della Georgia, che precede altri 10 Paesi dell’Europa centro-orientale. In tutti e 34 gli Stati sottoposti all’indagine le percentuali diminuiscono sensibilmente – e in alcuni casi crollano – quando agli intervistati viene chiesto se il loro credere in Dio sia «assolutamente certo». Ci limitiamo a ricordare il dato dell’Italia, dove si passa dal 73% di persone che dicono di credere in Dio al 26% che vi credono in modo «assolutamente certo»; gli atei dichiarati sono al 21%.
Ci viene in mente sempre l’amara domanda-profezia di Gesù nel Vangelo secondo Luca (Lc 18, 8) e, con essa, le parole scritte da san Paolo a Timoteo al tramonto della propria vita terrena: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede». Come lui, siamo chiamati a conservarla.
Potrebbe interessarti anche