Vent’anni fa, il 29 aprile 1994, scompariva nel villaggio di Mecosta, nei boschi del Michigan, Russell Kirk (1918-1994) forse il pensatore più originale e importante (ma da noi non ancora conosciuto come merita) degli Stati Uniti d’America. Uomo di lettere e studioso di storia, allievo e amico di T.S. Eliot, considerato il “padre” del conservatorismo americano nel secondo Novecento, convertito al cattolicesimo mezzo secolo fa, nel 1964, ha lasciato una trentina di libri e svariate centinaia tra saggi e articoli.
Nel 1957 pubblicò un librettino, The American Cause, nato dalla constatazione che nel mondo gli americani, soprattutto i più giovani, erano spesso disposti a sacrificare generosamente le proprie vite anche per gli altri, ma frequentemente senza nemmeno sapere perché. Costantemente impegnato a riflettere sulla natura dell’esperienza storica degli Stati Uniti e sui princìpi che ne hanno fondato la civiltà, anche per smentire, dati alla mano, la pessima vulgata che ne vorrebbe la “rivoluzione” del 1775-1783 simile alla Rivoluzione Francese (1789-1799), Kirk vergò così un piccolo vademecum di grande importanza. A puntate, The American Cause, è stato tradotto nel 2003 sulle pagine de il Domenicale. Settimanale di cultura, che allora si editava a Milano. Ne proponiamo alcuni stralci, tratti dal secondo capitolo.
AVERE PRINCÌPI È INDISPENSABILE
di Russell Kirk
Nonostante la maggior parte degli uomini e delle donne, in qualsiasi epoca e in qualsiasi Paese, vivano pressoché inconsapevoli di essere governati da certe idee generali, quasi tutto ciò che si ha è stato prodotto e protetto da un insieme di assunti morali e intellettuali che la gente normalmente dà per scontati. Le idee non si possono vedere, toccare, gustare o udire; eppure, se le grandi idee non esistessero, gli esseri umani sarebbero soltanto degli animali e potrebbero vivere esclusivamente come vivono gli animali. Solo il genere umano ha idee. Il successo o il fallimento di qualsiasi società umana dipende da quanto stabili e vere sono le idee che l’animano. La grande prosperità di una nazione – ovvero il fatto che essa sia ordinata, libera, giusta e ricca – è solo una delle ottime riprove della solidità e della verità delle sue idee.
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Almeno tre gruppi d’idee, o insiemi di princìpi, presiedono invisibilmente le persone, che si tratti dei boscimani australiani o delle moderne nazioni altamente civilizzate. Il primo, e più importante, di questi gruppi di princìpi è costituito dalle convinzioni morali che un popolo nutre: le idee che esso ha circa il rapporto fra Dio e uomo, e su virtù e vizio, onestà e disonestà, onore e disonore. Il secondo dalle convinzioni politiche che reggono un popolo: le sue idee su giustizia e ingiustizia, libertà e tirannia, diritti della persona e potere, e su tutto la complessa problematica della convivenza pacifica.
Il terzo dalle convinzioni che un popolo possiede in materia di economia: le sue idee a proposito di ricchezza e proprietà, responsabilità pubblica e responsabilità privata nel guadagnarsi da vivere, e sulla distribuzione dei beni e dei servizi.
Dallo sviluppo di queste categorie di princìpi cresce ciò che chiamiamo civiltà; e quando esse s’indeboliscono, con il popolo che perde la fiducia un tempo riposta nelle idee in base a cui quotidianamente ha vissuto e vive, la civiltà decade. Quando queste categorie di princìpi crescono in forza e in ricchezza, allora si dice che un popolo progredisce; ma quando esse smettono di avere presa sugli uomini e sulle donne, un popolo così viene definito decadente. È lo stato di salute dei princìpi che animano i popoli a dare la misura del successo o del fallimento delle società.
Queste categorie di princìpi si sono intronizzate presso di noi attraverso un processo lungo e misterioso. Codesti princìpi – se non altro la maggior parte di essi – si sono strutturati in un edificio complesso lungo un gran numero di secoli: costituiscono, insomma, l’esito cumulativo a cui sono pervenute innumerevoli generazioni di esseri umani. Per la maggior parte, non ci è dato sapere come e quando gli uomini abbiano preso per la prima volta coscienza di essi. A volte, nel cammino della storia, qualche uomo di genio ha offerto contribuiti nuovi a questi princìpi o ha operato per rinverdirne e per migliorarne alcuni a lungo negletti. Ma, per la maggior parte, queste idee sono il prodotto d’innumerevoli uomini savi e laboriosi, concordi sulla verità di un determinato concetto. Attraverso un processo secolare che ha alternato tentativi ed errori – capace, cioè, di sottoporre le concezioni degli uomini al vaglio della storia –, alcune credenze umane si sono rivelate forti e stabili, altre erronee e obsolete. Eppure, un certo numero di esse procede tale e quale sin dall’inizio della civiltà, ben poco modificate dallo scorrere del tempo. Sono le credenze che si rivelano verità permanenti, quelle che ogni nazione civilizzata deve tenere in stima pena la decadenza.
La maggior parte degli americani è convinta che alcune di queste verità permanenti siano state rivelate al genere umano da Dio: fra queste, essi annoverano il dovere di adorare il Creatore, l’essenza della morale individuale e la natura dell’amore che insegna i doveri verso gli altri uomini e verso le altre donne. Le potenze e limiti della natura umana – così intendono gli americani – sono stati immessi nei nostri spiriti per rivelazione divina.
Ma la maggior parte dei princìpi in base a cui viviamo – su questo gli americani sembrano concordare – è il prodotto dell’esperienza maturata dall’uomo lungo i secoli in cui, lottando, si è emancipato dalla barbarie per raggiungere la civiltà: talora progredendo, talora scivolando in stati di decadenza. Le nostre convinzioni circa l’amministrazione della giustizia, per esempio, o su quale sia il tipo migliore
di governo, oppure ancora sul corretto ruolo che spetta all’economia, derivano dalla «saggezza della specie», ossia dalle lezioni che, fra tentativi ed errori, la storia impartisce. Ancorché – è doveroso aggiungerlo – il nostro sistema di giustizia, i nostri modi di garantire la legge e l’ordine, e i nostri approcci all’economia appaiano alla maggior parte degli americani sforzi umani imperfetti per riprodurre a livello sociale determinate leggi naturali proprie del comportamento umano e decise
da un’intelligenza divina.
Ora, questi princìpi generali a cui è legata la maggior parte degli americani non sono – con eccezioni molto esigue – di pura origine appunto americana. Le nostre convinzioni religiose e morali si radicano nell’esperienza e nel pensiero degli antichi ebrei, degli antichi greci e degli antichi romani. Le nostre idee politiche derivano in gran parte dalla pratica e dalla filosofia dei greci, dei romani e degli europei medioevali, specialmente i britannici. Le nostre concezioni economiche – almeno alcune di esse – possono essere fatte risalire all’epoca di Aristotele e a un tempo ancora precedente; e persino le più recenti fra queste idee di ambito economico sono state espresse per la prima volta nella Gran Bretagna e nella Francia del secolo XVIII, piuttosto che in America. La civiltà americana non si regge in piedi da sé: è parte di una grande catena culturale che a volte chiamiamo “civiltà occidentale” o “civiltà cristiana” e che però, per alcuni dettagli, è addirittura più antica dell’Europa Occidentale o della storia del cristianesimo.
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E la causa americana non è una vaga aspirazione a rifare il mondo daccapo, ma la difesa sobria e prudente di credenze, di diritti e d’istituzioni – l’eredità della civiltà, insomma – oggi minacciati da forze violente e votate alla catastrofe, che mirano a distruggere non solo i cittadini del nostro Paese, ma pure la sua cultura.
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Un uomo senza princìpi è un uomo amorale e una nazione senza princìpi è una nazione incivile. Se un popolo dimentica i princìpi su cui si fonda la società in cui vive, regredisce allo stato barbaro e selvaggio. Se un popolo rifiuta princìpi dimostratisi saldi per abbracciare princìpi palesemente falsi, si trasforma in una nazione di fanatici. Oggi, gli americani che non vogliono apparire sciocchi debbono difendere i princìpi giusti su due fronti: la negazione stessa di ogni principio che porta alla decadenza della società e della persona, e l’adozione di princìpi falsi che sprofonda il mondo nell’anarchia.
Il pericolo che ci minaccia dall’interno è che gran parte del popolo americano potrebbe scordarsi dell’esistenza di princìpi permanenti. Il pericolo che ci minaccia dall’esterno è che i falsi princìpi del fanatismo rivoluzionario potrebbero diventare tanto forti da ferirci in modo irreparabile.
La causa americana, allora, è la difesa dei princìpi della vera civiltà. Questa difesa va condotta rinvigorendo la coscienza della gente circa i veri princìpi morali, politici ed economici, e applicando questi veri princìpi alle istituzioni della società e della vita privata.