Che sulla tragedia delle Foibe e sull’esodo dei giuliano-dalmati manchi ancora una memoria condivisa, è risultato evidente dall’ordine sparso con cui si è proceduto alle celebrazioni. Se ieri mattina, in diretta su Rai 1, si è svolta dal Quirinale una toccante mattinata incentrata alla presenza del capo dello Stato, e se dalla serata di ieri fino all’alba di oggi, sulla facciata di Palazzo Chigi, tra i colori della bandiera italiana è stata proiettata la frase “Io ricordo”, se, ancora, mercoledì il presidente del Senato Ignazio La Russa, ha reso omaggio, in ginocchio, a chi perse la vita da innocente nella foiba di Basovizza (incontrando anche i parenti di Norma Cossetto), è anche vero che sacche di resistenza, anche istituzionali, hanno cercato ancora di sminuire la portata del Giorno del Ricordo.
SE IL “TRENO DELLA VERGOGNA” NON BASTA ANCORA
Anpi e CGIL, per esempio, si sono distinti ancora, protestando contro i fumetti sulla storia di Norma Cossetto distribuiti negli istituti scolastici di Mirandola, in provincia di Modena, da un editore non gradito. La storia della giovane insegnante, che dopo essere stata violentata da diciassette partigiani titini, fu condotta nel bosco e infoibata, nuda, con le mani legate e i seni pugnalati, evidentemente ancora non è degna di avere un ricordo condiviso, men che meno nelle scuole. Eppure alla CGIL sarebbe dovuta bastare la complicità data alle milizie comuniste il 18 febbraio 1947, nell’episodio passato alla storia come il “Treno della vergogna”; quel giorno esponenti della storica sigla sindacale si rifiutarono di far sostare alla stazione di Bologna quello che venne additato come il “treno dei fascisti”, un convoglio pieno di anziani, donne e bambini provenienti da Pola, nient’altro che persone affamate e a rischio disidratazione.
DAL FESTIVAL UN PARAGONE IMBARAZZANTE
L’esitazione più rumorosa intorno al Giorno del Ricordo è stata quella della direzione del Festival di Sanremo, «una kermesse», scrivono in una nota comune i senatori di Fratelli d’Italia Mennuni, Menia e De Priamo, «vista da milioni di Italiani, molti dei quali giovani che spesso poco sanno delle foibe». A fronte del pressing governativo perché all’Ariston venisse ricordato chi – parole di Giuseppe Saragat – «fu italiano due volte, per nascita e per libera scelta», la risposta data giovedì sera da Amadeus è stata perlomeno imbarazzante: «Ci sono tanti temi cruciali e nessuno è meno importante di un altro. Vedremo cosa fare domani». Rispondendo a chi chiedeva se il Festival (in cui si è vesto di tutto) avrebbe dedicato anche uno spazio al ricordo dei martiri italiani, il direttore artistico dell’Ariston è scivolato su un paragone giudicato da più parti improprio: «È come quando si ricordano nomi della musica. Non possiamo farne tanti durante il corso del festival».
«POTER PARLARE DI FOIBE È COME CHIEDERE L’ELEMOSINA»
Su quello che dovrebbe essere un ricordo grato, oltre che obbligato, su «coloro che», scrive Lucia Bellaspiga, «lasciando case in pietra tra i vigneti sopravvissero per anni in campi profughi allestiti per accoglierli nel loro stesso Paese», la risposta migliore è arrivata proprio da un cantautore, Simone Cristicchi, autore di Magazzino 18, spettacolo sugli esuli giuliano-dalmati che ha emozionato l’Italia. «Non credo che sarebbe un problema dare 20 secondi di tempo al Festival di Sanremo», ha affermato tra l’ironico e l’amaro Cristicchi, che all’Adnkronos ha proseguito così: «Il Giorno del Ricordo deve entrare nella coscienza collettiva degli italiani e uno spazio del genere, con decine di milioni di persone che guardano la tv, sarebbe sicuramente utile, ma ogni volta sembra quasi di dover chiedere l’elemosina per parlare delle foibe».
Eppure, il 10 febbraio dello scorso anno, fu proprio il Presidente della Repubblica a sollecitare che il Giorno del Ricordo, istituito con la legge nel 2004 da Carlo Azeglio Ciampi, fosse ricordato da tutti e sempre: «Il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo», dichiarò nel Sergio Mattarella. Che aggiunse: «Conservare e rinnovare la memoria di quella tragedia è un impegno di civiltà e il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile».
AMADEUS SALVO IN “ZONA CESARINI”
Parole importanti, che certamente contrastano contro l’atto vandalico accaduto giovedì notte a Genova, dove è stata imbrattata sia la targa in marmo “Passo vittime delle Foibe” (sulla quale la mattina successiva campeggiava una grande “Z”, chiaro riferimento all’invasione russa in Ucraina), sia il muro sottostante la targa, vandalizzato con la scritta “L’unica giornata del ricordo è il 25 aprile”, firmata da Genova Antifascista. Ma le parole di Mattarella, ripetute ieri con accenti ancora più forti e giovannei («Bisogna costruire al pace senza dimenticare il passato. Nessuno deve avere paura della verità, perché la verità rende liberi») contrastano in modo lampante soprattutto contro il tentennamento dei vertici del Festival, che per bocca del direttore artistico Amadeus è passato dall’offensivo e già citato «nessuno tema è meno importante di un altro», al tardivo, contraddittorio e non esattamente convinto «era già previsto che ci occupassimo del Giorno del Ricordo e delle foibe».
Un salvataggio forzato, fatto in “zona Cesarini”, che non aiuta certo a superare quella “congiura del silenzio” che ha accompagnato l’epopea dei giuliano dalmati, portatori di un patrimonio sapienziale da cui tutti dovrebbero continuare ad attingere, specie nell’odierno clima di guerra: pur sperimentando lo sradicamento e la persecuzione, è un popolo che non ha odiato. (Foto: Imagoeconomica/foibe)
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