A leggere i giornaloni e ad ascoltare intellò ed influencer pare proprio che il futuro sia necessariamente arcobaleno, e che ormai nulla possa arrestare, per riprendere un’espressione del politico Achille Occhetto, la «gioiosa macchina da guerra Lgbt». In realtà, dal diktat dei “nuovi diritti” c’è pure chi osa smarcarsi e, a ben vedere, non sono neppure né così pochi né così ininfluenti, quanti lo fanno. In effetti, gli esempi al riguardo sono molteplici e meritano – proprio per sfatare l’idea dell’arcobaleno come approdo obbligato della Storia – di essere ricordati.
Una notizia molto recente, al riguardo, concerne la fermezza della Russia, che in buona sostanza ha rifiutato di regolarizzare le unioni di persone dello stesso sesso nel Paese, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) con chi le si era esplicitamente «chiesto» di procedere in tal senso. «Non c’è bisogno di cercare alcuna forma alternativa di registrazione», ha fatto presente il portavoce del Cremlino, spiegando che il matrimonio «appare definito in modo totalmente unico nella Costituzione». La Russia di Putin resta insomma ancorata al suo dettato costituzionale, secondo cui il Paese non è obbligato a rispettare le sentenze dei tribunali internazionali in conflitto con norme nazionali.
Attenzione, perché Mosca non è la sola su tali posizioni. C’è infatti che Budapest, con Viktor Orbán il quale, come noto, è in questo periodo al centro di fortissime pressioni internazionali per quella che è stata definita una «legge anti Lgbt». In realtà, quella norma – che non è una sorta di suo personale e crudele editto, essendo stata approvata dal Parlamento magiaro con 157 voti a favore e solo uno contrario – ben lungi dall’essere una norma ostile alle persone omosessuali, si configura come una disposizione a tutela dei bambini. D’altra parte, il testo parla chiaro.
«Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini», recita infatti la legge, «la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a sé stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni». Ciò nonostante, una decina di giorni fa il portavoce della commissione Ue, Christian Wiegand, ha annunciato l’apertura di una procedura d’infrazione a livello europeo. Una notizia che aveva fatto il giro del mondo e che risulta confermata da Bruxelles, che nelle scorse ore ha ufficialmente aperto tale procedura.
Si tratta di un passaggio politicamente pesante, ma che non pare spaventare particolarmente l’Ungheria. «Il governo ungherese resta aperto a un dialogo costruttivo con la Commissione», ha infatti dichiarato il Ministro della giustizia ungherese Judit Varga in una intervista uscita ieri sul quotidiano La Verità, «ma utilizzeremo anche tutte le azioni legali per proteggere i diritti dei genitori ungheresi. Semplicemente non è accettabile che burocrati a migliaia di chilometri da qui ricattino un intero Paese». Parole molto chiare, non c’è che dire.
Difficile, del resto, che bastino simili minacce ad intimorire il popolo magiaro, lo stesso che sfidò i sovietici nel 1956 e che fu il secondo, dopo i polacchi, ad infrangere il filo spinato comunista, prima che i tedeschi dell’Est abbattessero il muro. Parliamo dunque di un Paese che ha storicamente dimostrato allergia ai diktat, e c’è da temere che quelli di Bruxelles non faranno eccezione, tanto meno quelli arcobaleno. A tal proposito, tornando a noi, dopo quelli russo e ungherese, si può segnalare un altro allontanamento dalle rivendicazioni Lgbt che è in corso a livello internazionale.
Stiamo parlando di tutti quei Paesi insospettabili (Inghilterra, Svezia, Finlandia) i quali, pur mantenendo legislazioni ben colorate di arcobaleno, da mesi hanno fatto passi indietro significativi sul delicato tema dei baby trans e del blocco della pubertà dei giovani affetti da disforia di genere; a dimostrazione che la contrarietà a certi “nuovi diritti”, ben lungi dall’essere battaglia di retroguardia, potrebbe rivelarsi in realtà profetica e sempre più centrale in futuro, non per offendere le sensibilità di nessuno bensì per evitare uno stravolgimento antropologico esiziale. Su questa linea, del resto, si pongono anche tanti vescovi.
Si può in tal proposito ricordare la Chiesa polacca la quale, sfilandosi da posizioni che ormai emergono purtroppo pure in ambito ecclesiale (specialmente tedesco), già nell’agosto 2020 aveva pubblicato un documento di 27 pagine, a cura della Conferenza episcopale nazionale, assai interessante. Sì, perché in quel documento si metteva nero su bianco un concetto fondamentale, e cioè di accogliere «le persone che si identificano come Lgbt+», esprimendo «comprensione per le loro inclinazioni».
Allo stesso tempo, però, i vescovi polacchi – ricordato dove sia originata la situazione attuale (nella «cosiddetta rivoluzione sessuale») – hanno evidenziato l’importanza non solo di non cedere all’ideoogia gender, ma anche di offrire una risposta alle persone Lgbt e, in particolare, «alle difficoltà, alle sofferenze e alle lacrime spirituali che costoro vivono». In che modo? Offrendo un’azione di accompagnamento ed anche creando «centri di consulenza (anche con l’aiuto della Chiesa o delle sue strutture) per aiutare le persone che desiderano ritrovare la salute e il loro orientamento sessuale naturale».
Che dire, senza dubbio una proposta forte, politicamente scorretta ma anche molto saggia, che meriterebbe di essere ripresa anche oltre i confini della Polonia. Un auspicio, quest’ultimo, che in realtà è meno lunare di quanto potrebbe a prima vista sembrare, alla luce di quante in realtà sono le voci libere contro i diktat Lgbt.
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