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«Le scuole paritarie? Presidi di libertà, non “dei ricchi per i ricchi”»
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28 Maggio 2022

«Le scuole paritarie? Presidi di libertà, non “dei ricchi per i ricchi”»

Religiosa, insegnante, saggista, vincitrice dell’Ambrogino d’Oro per il suo impegno a favore di una scuola plurale. Oggi alle 10.30, nel Duomo di Milano, Suor Anna Monia Alfieri festeggerà i suoi primi 25 anni di vita religiosa. In questa ricca intervista la suora di Santa Marcellina si racconta a tutto tondo: dalla battaglia sulle Paritarie (quasi vinta col Family Act) alla sua vocazione religiosa; dall’influenza esercitata sui Ministri dell’Istruzione di ogni colore all’“intollerabile” ddl Zan; dalle mascherine “mortificanti” ancora obbligatorie per i bambini, alla stima (ricambiata) per Nicola Porro.

Suor Anna Monia, com’è nata la sua vocazione religiosa?

«Dentro di me c’era – e c’è ancora – l’esigenza di tenere insieme l’impegno morale e quello civile, tanto che da ragazza sognavo di fare il magistrato, anche perché alunna di Renata Fonte, maestra vittima della mafia. Sono sempre stata affascinata dalla cultura della legalità, dalle figure di Falcone e Borsellino. Ma allo stesso tempo ero affascinata anche da quel Cristo che va a cena con Zaccheo, che parla con la prostituta, che si sporca le mani, totalmente libero dagli schemi. A 19 anni capii quindi che sarebbe stata la vita religiosa ad aiutarmi a tenere insieme l’impegno morale con quello civile, la fede e la politica, la vita sociale e quella spirituale».

Perché proprio con le Suore di Santa Marcellina?

«In realtà il mio cammino spirituale è partito con le Clarisse di Nardò, tanto che per anni mi sono interrogata sulla vita claustrale. L’estate, nella mia parrocchia, venivano però le Suore Marcelline, e intravedevo in loro uno spirito che mi si confaceva: attenzione alla società, grandi educatrici, legame forte con Paolo VI, l’impegno di far maturare nei ragazzi uno spirito critico. Ho scoperto solo dopo la grande figura del Biraghi, il fondatore dell’Istituto religioso, ispirato da Santa Marcella, sorella di Ambrogio, colui cioè che rappresenta l’emblema dell’impegno morale e civile uniti insieme. C’era quindi un disegno che mi superava. Questo è il mio posto nel mondo».

È considerata da tutti il “difensore ufficiale delle scuole paritarie”. Com’è accaduto?

«Vengo dal Sud e ho sempre considerato la cultura come un riscatto della persona. Quando sento che le paritarie sono considerate la scuola “dei ricchi per i ricchi”, scuole in cui accede solo chi può pagare, mi accendo perché si tratta di un’ingiustizia profonda. Studiando e approfondendo, ho scoperto che, paradossalmente, spesso era la stessa scuola paritaria a vendersi male, a non denunciare, coprendo tutto con il manto della carità. Il ragazzo non può pagare? Paghiamo noi con lo stipendio della suora o del prete. In realtà in assenza di una denuncia si finisce con il legittimare un’ingiustizia».

Il nodo rimane ancora l’articolo 33 della Costituzione?

«Che è ancora bisognoso di chiarimenti. Perché le famiglie devono pagare due volte? Perché se la libertà di scelta educativa spetta alla famiglia bisogna dire “tu sì e tu no” a seconda delle condizioni economiche? Soprattutto a fronte di un articolo 3 della Costituzione che obbliga a superare qualsiasi discriminazione economica. Allora ho cominciato a guardare ad una Chiesa che denuncia, che parla chiaro, che era poi quella di Paolo VI, di Giovanni Paolo II sulla mafia».

…nonché ad accostarsi ai ministri dell’Istruzione di diversi colori.

«Ringrazio Dio che il ministro Stefania Giannini abbia permesso che mi accostassi ai costi delle scuola, e che il ministro Valeria Fedeli iniziasse a parlare di “costi standard”. E sul Family act sono positiva anche grazie alla collaborazione del ministro Patrizio Bianchi. Bisogna interloquire con chi è lontano, non rinunciando mai a denunciare un’ingiustizia lampante: davanti ai fatti tutti saranno costretti a riconoscerla. Anche perché dietro un certo silenzio accondiscendente sono morte proprio le scuole “dei poveri per i poveri”, tradendo le ragioni di fondo. Se le paritarie chiudono, muoiono presidi di libertà, muore il pluralismo educativo. Rimane il monopolio educativo, pericoloso come tutti i monopoli. Con la denuncia abbiamo risolto la questione? No, ma almeno i punti fermi sono più chiari. E oggi questo è un pensiero condiviso anche dai 5 Stelle».

Sul ddl Zan ha detto che “quando la legge mette in contrasto le libertà crea un pensiero unico elevato a modello”. Ci spiega?

«Sono la prima ad essere contro ogni discriminazione, ma il ddl Zan la discriminazione la cavalca, perché va a comprimere il diritto di espressione, la libertà di scelta educativa e la libertà di insegnamento. È interessante ricordare che la stessa sera in cui il ddl venne bocciato, il senatore Zan, ospite di “Porta a Porta”, ad un Vespa che gli dice: “Beh, però gli articoli 4 e 7potevano essere tranquillamente eliminati”, il senatore risponde: “Sì, effettivamente è così”. Quel passaggio televisivo avrebbero dovuto mandarlo a manetta. Mi viene da dire: “Allora tu hai tradito i tuoi?”. Chi era contro la discriminazione, noi o il senatore Zan? Certe cose sono assolutamente intollerabili…».

Anche intorno alla legge sull’eutanasia è stata molto chiara.

«Certo, perché anche il ddl Bazoli è profondamente ingiusto. Un secondo dopo aver sbandierato il diritto di morire sempre, consegna il giudizio etico allo Stato: è questo che dovrà stabilire quando la vita è dignitosa e quando non lo è. Io, che contrasto da sempre il monopolio e la presenza di uno stato gestore (deve essere solo garante!) potrei mai essere d’accordo con un’impostazione così dirigista? Ho la sensazione che le battaglie per i diritti civili si facciano più con la pancia che con la testa».

Spesso la vediamo ospite nel salotto televisivo di Nicola Porro, la cui stima nei suoi confronti buca lo schermo. Come ha fatto a “conquistarlo”?

«Le dirò che, per mia natura, l’affetto e la stima dell’altro faccio fatica a percepirla. Sono però felice che dalla tv appaia questo, anche perché la stima è reciproca: Porro è un fuoriclasse, è un vero liberale, oltre ad essere un autentico estimatore dell’ospite. La conoscenza di Porro, uomo da sempre interessato alla scuola, è legata alle mie frequentazioni col maestro Dario Antiseri, con cui ho scritto un libro. La prima ospitata a “Quarta Repubblica” risale al 7 dicembre del 2020, la mattina avevo ricevuto l’Ambrogino d’Oro e la sera Porro mi invitò a parlare di libertà educativa nella sua trasmissione. Evidentemente non abbiamo ancora esaurito il tema».

Altri giornalisti che stima?

«Sicuramente Bruno Vespa e Ilaria Capitani, vicedirettrice di Rai Tre. Con Porro, sono tre professionisti che si riconoscono in certe battaglie di libertà, solitamente portate avanti nel silenzio dei più, ad esempio cercare di garantire e di proteggere gli studenti più poveri. Alla fine la storia è fatta dalle singole persone…».

Intanto in questi giorni i media hanno rilanciato le parole del presidente di Save The Children, Claudio Tesauro, il quale ha dichiarato che il 51% dei quindicenni in Italia non sarebbe in grado di capire un testo scritto. Cosa è andato storto?

«Già prima del Covid l’Italia era già agli ultimi posti Ocse Pisa per la comprensione di un testo e per le competenze matematiche e linguistiche. Per altro Ocse Pisa denunciava che il sistema italiano era drammaticamente iniquo perché divideva il Paese in due: ai primi posti i ragazzi della Lombardia, del Veneto e del Piemonte, agli ultimi posti quelli del Sud. Con la Dad i ragazzi persi sono stati proprio quelli del Meridione, per questo abbiamo gridato di riaprire le scuole, per strapparli alla mafia e alla camorra. È un divario che va a stridere fortemente con la funzione della scuola, e con quel secondo dopoguerra che portò la scuola pubblica a sanare l’analfabetismo. È incredibile essere tornati lì. E ciò è ancora più paradossale per il fatto che oggi –lo stiamo dimenticando – siamo in un Governo di unità nazionale proprio perché avevamo lanciato il grido sulla scuola. Draghi ha fatto il suo discorso di insediamento alle Camere parlando prima di tutto del mondo della scuola».

Lei punta moltissimo sul Family Act. Sarà davvero la soluzione di tutti i mali della scuola italiana?

«Agli articoli 1 e 2 il Family Act pone l’attenzione sul sistema educativo, fino a parlare espressamente di “detrazioni e agevolazioni fiscali per i costi che la famiglia sostiene per la scuola”. Bene, se qui non passasse la detrazione per le rette che le famiglie pagano per le scuole paritarie saremmo all’assurdo. Ma non credo possa succedere. Siamo in una congiuntura storico-politica senza precedenti, non possiamo perdere quest’occasione. Abbiamo i fondi del PNRR, la volontà del Governo di unità nazionale, quindi di tutte le forze politiche. A quelle povere scuole paritarie, specie del Sud, bisogna dire: “Resisti, sta arrivando la liberazione!”. Ora sta a noi presidiare questo impegno, perché è la battaglia di una vita».

Ha affermato che due anni di pandemia ci hanno insegnato che è “doveroso tenere insieme il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione e alla circolazione”. Un modo elegante per dire che tutto ciò non è accaduto?

«Sono diritti che, a differenza di quanto accaduto nel resto d’Europa, è evidente che in Italia non sono stati tenuti insieme. Con i virus dobbiamo convivere, come d’altronde abbiamo imparato a fare. Ma se non facciamo nulla al capitolo Family Act e a quello della Sanità, non resterà che chiudere la scuola ogni volta che si presenta un virus. E sarà la morte, perché già oggi il gap culturale di questa generazione è senza precedenti. È come se, nella moderna cultura dell’efficientismo, della prestanza fisica, avessimo dimenticato che con la malattia si può e si deve convivere. Poi predichiamo ai disabili di accettare la loro condizione, ma allora è un falso pietismo. Non puoi aspettare di essere perfetto. Se hai paura di vivere, muori».

Con le temperature a 35 gradi, cosa pensa della reiterata obbligatorietà delle mascherine a scuola?

«Che sono mortificanti. Non a caso l’obbligo non viene dal Ministero dell’Istruzione ma da quello della Salute. Per altro la scuola non chiude a giugno, perché si parla di scuola estiva. Non ci si rende conto… C’è di più. Vengano a visitare gli scantinati delle scuole: sono pieni zeppi di scatoloni di mascherine del 2020, quelle della gestione Arcuri, che nessuno ha utilizzato perché tutte fuori misura rispetto agli studenti. Si tratta dei famosi “pannolini della Swiffer”, per capirci. Ora, al di là dello spaventoso danno erariale per la società, non è che devono essere i ragazzini a dover pagare il prezzo di questo smaltimento… Tra il serio e il faceto io vado ripetendo: “Non aprite al corriere!”. Seriamente, può una scuola arrivare a questo?».

Cosa dice della polemica sulla foto di Draghi e Zaia senza mascherina, in una classe di bambini “mascherinati”?

«Ho letto e visto, ma difendo Draghi e Zaia. Mi spiego: la privacy si è fatta assolutamente stringente, per cui si deve fare di necessità virtù. Per avere una foto dei ragazzi senza urtare la mamma di turno, si dovrebbero mettere gli alunni di spalle, oppure sfuocare i visi uno ad uno. Per i fotografi è un lavoraccio. Quanto accaduto a Sommacampagna lo faccio anch’io, per esempio nelle foto degli Open Day. …È che la scuola bisogna viverla dal di dentro per capirla davvero, e questo vale per ogni questione, piccola o grande».

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