Eugenio Corti (1921-2014), il maestro (come lo abbiamo definito su Il Timone salutandone la partenza per il Cielo), è sempre nei nostri cuori e davanti ai nostri occhi. Tornare a sfogliarne le pagine è come chiedergli di temerci compagnia da lassù, mentre qui si continua a combattere quotidianamente la buona battaglia. I suoi libri, con l’insuperabile Il cavallo rosso in cima, continuano a ricordarci quanto siano concrete e vere la difficoltà quotidiane tanto quanto però anzitutto la speranza, la tragedia di un mondo costruito senza Dio tanto quanto però soprattutto la consolazione della tradizione e la “nostalgia del futuro”.
Oggi le edizioni Ares fanno a tutti un regalo fantastico, un libro di Corti che non abbia amai letto. S’intitola «Io ritornerò». Lettere dalla Russia 1942-1943. Sono riemerse dalle carte e dagli archivi dello scrittore scomparso un anno fa e il talento letterario di Alessandro Rivali le ha raccolte “cucendole” assieme in un nuovo, indispensabile vademecum.
Ne esce così uno spaccato intimo, ma non intimista, di Corti; un Corti costantemente impegnato – lo si percepisce tra le righe delle lettere – a non destare preoccupazioni nei familiari per la sua incolumità, ma allo stesso tempo sinceramente interessato a quel che quotidianamente succede là, nella sua lontana, piccola, mai dimenticata, cattolica patria brianzola.
La dimensione che colpisce subito in questo epistolario è quella della verità. Non si tratta, infatti, di un’opera di creazione letteraria, ma del termometro sincero di un uomo posto, piuttosto brutalmente, davanti a se stesso prima, e subito dopo al male e al bene del mondo. A ogni istante, a ogni pagina riemerge infatti – direttamente o indirettamente – la grande fede di Corti. Il Corti che ricordiamo, il Corti che amiamo come non ci avesse mai lasciati (comunque per stare in un posto migliore) è stato ed è un maestro per questo. Perché ci ha insegnato che contro Dio non si può andare: prima o poi la realtà, infatti, si ribella. Corti ce lo insegna ancora con l’umiltà e la semplicità che lo contraddistingueva, quell’arma potentissima che sbriciola in polvere le supponenze e le alterigie dei finti grandi del mondo. Per questo motivo Corti è stato un soldato, uno scrittore, un amico e un uomo indimenticabile. Perché semplicemente, in tutto ciò che faceva, fosse la guerra, fossero gli studi di Economia e Commercio, fosse la grande epopea de Il cavallo rosso o de I più non ritornano, Eugenio Corti era cattolico.
Per capirci meglio, e con il permesso dell’editore, proponiamo qui due sue lettere in modo per non smettere mai d’imparare dalla sua umanità e dalla sua fede.
Fronte Russo – mezzogiorno 24/6/42
Mamma carissima, mi è giunta oggi, insieme a una cartolina postale del papà, la tua cara primissima lettera, che ho aperto con commozione.
E vorrei cantare anzitutto di gioia al sentire che seguite entrambi il desiderio che vi ho espresso e mi auguro continuiate a seguirlo.
M’inviti a essere sincero nelle mie lettere. Lo sono sempre stato, puoi crederlo. Del resto assolutamente non vedo come non dovrei esserlo dato che le cose stanno così come stanno.
Di una sola cosa non vi ho parlato, dato che direttamente non mi interessa, ma se ti fa piacere te ne parlo ora: si tratta della situazione delle popolazioni civili.
In Polonia era una cosa terribile: gente ridotta dovunque a cencio dalla fame, scene penosissime. Lungo la linea ferrata, spesso, c’erano file di bambini e donne che chiedevano il pane, e i soldati buttavano tutto ciò che avevano, soffrendo magari loro la fame.
Gran cuore quello dei nostri soldati!
In Ucraina la situazione è di gran lunga migliore. Nei negozi si vendono focacce, dolci, farina, come in Italia. Ma nelle retrovie del fronte c’è ancora la fame, e noi si cerca, dato che siamo largamente forniti e a noi viene distribuita roba in abbondanza, di alleviarla un po’. Dovreste mandarmi cibarie, specie a base di farina, per questo scopo.
Non vorrei però che voi mi fraintendeste: vi garantisco, e, se lo volete, vi giuro davanti a Dio, perché restiate più tranquilli, che la Mensa Ufficiali di qui è più largamente fornita che non quella d’Italia (almeno, per la conoscenza che io ne ho, attraverso quella di Cremona, Clusone, Piacenza e Bologna). Spesso, anzi, mi vergogno di mangiare così bene, mentre non lontano dei bambini soffrono la fame46.
Vi espongo una decisione che ho preso da tempo: tutto il mio stipendio desidero sia spedito a Roma, presso le apposite Opere Pontificie, per essere usato a favore dei civili della Polonia. Prego il papà di detrarre, di volta in volta, un tanto per costituire una somma sulle 5000 lire che mi deve servire per uno scopo che dirò poi.
Novità non ce ne sono. Io sto benissimo e la vita continua in modo incredibilmente tranquillo. Oggi prenderemo un nido di gazza e vedremo di allevare i piccoli per quando arriverà la rete. Vi bacio tanto e vi abbraccio,
Eugenio
P.S. Scrivetemi come ha fatto il Giovanni con il libretto.
5/7/42 – mezzogiorno
Carissimi, poco fa c’è stata la Messa al campo a cui ho assistito davanti a tutti i miei artiglieri. Tutte le Domeniche, infatti, c’è la Messa al campo celebrata dal Cappellano di Raggruppamento (un Sacerdote Veneziano molto simpatico, proposto per medaglia al valore), che viene da noi in sella a un bel cavallo cosacco per poi ripartire subito e andare a celebrare agli altri due Gruppi.
Ho fatto anche la S. Comunione. Prima mi sono confessato, così come fanno tutti i soldati, nel bosco, in piedi, davanti al Cappellano, lui pure vestito da Ufficiale.
Questa scena mi ha richiamato il ricordo dei primi Cristiani che dovevano compiere i loro doveri religiosi nelle Catacombe o in aperta campagna perché erano perseguitati.
Quante cose, anche semplici, qui in Russia assumono aspetti suggestivi!
La vita continua tranquillissima. In tutta la nostra zona si è esattamente sulle posizioni raggiunte prima dell’inverno e per ora nulla sembra voglia cambiarle.
Fra noi soldati, fin proprio quasi alla prima linea ci sono ancora i borghesi del luogo che lavorano i loro campi come se nulla fosse, assolutamente incuranti dei pericoli, tanto che si dice che se non fosse stato impedito tanto da noi che dai Russi, gli abitanti della cosiddetta «terra di nessuno», fra le opposte trincee, sarebbero rimasti senza preoccuparsi nelle loro case.
A proposito di questa «terra di nessuno», dicono i fanti che vi sono altoparlanti russi che fanno propaganda, ed è una cosa allegrissima sentirli, perché la brava gente dell’altra parte conosce non solo i nomi delle nostre unità minori che ha di fronte, ma anche quelli di molti ufficiali e soldati, e pronuncia gravi minacce che ci fanno molto divertire.
Minaccia continuamente attacchi e simili allegre cose, ma noi stessi che dal nostro osservatorio dominiamo un buon terzo dello schieramento italiano (il lato sinistro) possiamo constatare come da mesi non si verifichi niente di niente.
Anzi, ogni tanto i nostri guastatori partono di notte e ritornano con altoparlanti e spesso con altoparlantisti…
Anche questo contribuisce a rendere un po’ varia la vita. V’invio alcune fotografie con visioni dell’Ungheria (2 del lago Balaton, malriuscite) e una foto molto riuscita di me sulla soglia d’una casetta Ucraina. Spedirò poi le altre. Vi ricordo sempre e vi bacio tanto,
Eugenio
P.S. Le vostre lettere impiegano ad arrivare 10 giorni. Avete spedito i pacchi?