«Una straordinaria convergenza di ragioni per chiedere che il ddl Zan non commetta l’errore di passi contro diritti fondamentali costituzionali». É stata introdotta così, alle ore 13:15 di ieri, Contro le discriminazioni? Sì, ma non così, conferenza d’ascolto – così chiamata in quanto soluzione a metà strada fra la conferenza stampa e il convegno -, tenutasi in Senato, presso la sala Caduti di Nassirya (foto in apertura), su iniziativa del network Pro polis persona.
Alla presenza di molti parlamentari di centrodestra, cattolici e non solo (da Paola Binetti a Massimiliano Romeo, da Lucio Malan a Eugenia Roccella) – e anche di qualche esponente del centrosinistra venuto ad ascoltare dimostrando apertura (come Stefano Fassina) -, si sono così succeduti vari interventi che hanno sviscerato le criticità della legge contro l’omobitransfobia.
Ad aprire i lavori è stato il professor Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, il quale ha evidenziato che l’anomalia numero uno del ddl Zan consiste nel fatto che «è un disegno di legge che incide nella cultura. Cosa che di solito le leggi non fanno». Gambino ha inoltre richiamato l’attenzione contro il concetto di istigazione alla discriminazione («una bomba atomica, troppo vago») e contro le iniziative previste nelle scuole dall’articolo 7: «Quel “provvedono alle attività di cui…”, specie “quel provvedono”, è di una perentorietà in conflitto con il paradigma costituzionale, che stabilisce che l’educazione sia sempre delegata dai genitori alla scuola».
Il secondo intervento è stato quello della scrittrice e femminista Marina Terragni, che ha puntato il dito contro l’identità di genere, segnalandolo come concetto ideologico, non necessario per tutelare le persone transessuali. «Infatti», ha puntualizzato la Terragni, «nell’originario testo Scalfarotto-Annibali, cui si dovrebbe secondo me tornare per una buona mediazione, si parlava di “persone transessuali” ma non di “identità di genere”», concetto che lede, come può volte evidenziato all’intellettuale femminista, l’identità della donna.
Per mancanza di tempo non è stato trasmesso l’intervento del Presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick (tratto da un convegno già tenuto dal giurista a Milano), così ha preso la parola, in collegamento dagli Usa, il filosofo Ryan T. Anderson, il quale ha enunciato un concetto interessante. «Queste leggi che nascono per essere uno scudo», sono state le parole dell’intellettuale statunitense – autore di un’opera contro l’ideologia gender censurata da Amazon – «ma in realtà sono una spada». Richiamati i casi di maschi che si sentono donne e vogliono andare negli spogliatoi femminili, e di detenuti trans che chiedono pretestuosamente di essere assegnati ad un altro carcere, Anderson ha inoltre esortato a riscoprire la bellezza della diversità tra i sessi: «Perché negare queste differenze?».
Il sociologo Luca Ricolfi è invece intervenuto non solo richiamando i tanti articoli del ddl Zan che non lo convincono (l’1, il 4, il 5 e il 7), ma anche rimarcando come questo politicamente corretto che la legge rischia di istituzionalizzare, oltre che essere liberticida, rischi di rivelarsi un boomerang. «In effetti», ha dichiarato il sociologo che non ha mai fatto mistero di essere progressista, «tutti gli analisti sono concordi sul fatto che il successo di Trump non ci sarebbe mai stato se non in risposta ad un politicamente corretto di cui al gente è stanca».
Ha chiuso l’incontro l’intervento di Filippo Vari, costituzionalista membro del Centro Studi Livatino, il quale ha richiamato l’esperienza comparatistica per vedere che cosa provocherebbe, se passasse, il ddl Zan. Nello specifico, Vari ha ricordato il caso, già noto ai lettori del Timone, dell’ex ministro filnandese Päivi Räsänen , oggi sotto accusa per sue posizioni critiche espresse tre volte, di cui una delle quali semplicemente citando le Sacre Scritture. «Quello che si rischia di istituire», ha fatto presente il giurista, «è un tribunale delle coscienze», parole che rinviano ad un celebre libro sull’inquisizione da parte dello storico Adriano Prosperi.
L’auspicio è che così tante criticità – sollevate, lo si evidenzia, da pensatori e intellettuali di aree differenti – facciano breccia nelle menti dei senatori della repubblica, nelle cui mani ora si trova il potere di approvare il ddl Zan, oppure di preferire la libertà di pensiero.
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