Nel 2011 abbiamo segnalato uno studio tedesco che suggeriva l’estinzione delle società con prevalenza di persone non credenti in quanto i popoli religiosi presentano ben superiori tassi di nascite.
In questi giorni una ricerca americana, pubblicata su Evolutionary Psychological Science, ha confermato la tesi. Quattro studiosi di fama mondiale, Lee Ellis, Anthony W. Hoskin, Edward Dutton e Helmuth Nyborg, hanno infatti osservato il ribaltamento della classica tesi della secolarizzazione: «Per oltre un secolo gli scienziati sociali hanno previsto il declino dei credo religiosi e la loro sostituzione con prospettive più scientifiche e/o naturalistiche. Una previsione conosciuta come l’ipotesi della inarrestabile secolarizzazione». Ma lo scetticismo generale verso questa convinzione è stata da loro confermata studiando grandi campioni di studenti universitari in Malesia e negli Stati Uniti, scoprendo che a diventare minoranza saranno coloro che non si riconoscono in alcuna fede.
«È ironico pensare che i metodi contraccettivi siano stati sviluppati in primo luogo da atei», hanno osservato gli autori, «questi metodi stiano contribuendo, ora, a diminuire la rappresentanza degli atei nelle future generazioni». La questione infatti è che le persone scettiche hanno statisticamente meno fratelli rispetto alla media, quelle religiose invece mostrano maggiori tassi di fertilità. Da qui ne consegue che «l’ateismo subirà un declino costante per tutto il secolo, anche nei paesi industriali e perfino in Europa».
Il grande limite dello studio è chiaramente quello di identificare la fede religiosa come esperienza ereditaria, dando forse eccessiva importanza al contesto familiare in cui si cresce. E’ comunque vero che genitori con una forte fede religiosa sapranno convintamente offrire valori più difficilmente ripudiabili rispetto a genitori privi di religiosità che, al massimo, infonderanno un semplice relativismo, facilmente abbandonabile dopo un’esperienza di compimento della propria umanità, come accade nell’incontro cristiano. Nell’ateismo, invece, semmai ci si lascia scivolare dopo l’esperienza di una delusione, di una rassegnazione, di un dolore nei confronti della vita. L’adesione ad esso non segue mai una conversione dettata da un’esperienza entusiasta di soddisfazione.
La nostra tesi è che il maggior tasso di fertilità delle persone religiose non è semplice coincidenza o astratto senso del dovere nel riprodursi, ma risponde alla positività di sguardo che il credente, in particolare il cristiano convinto, ha verso la vita. Egli non si limita a sopravvivere, ha un orizzonte più ampio e, per questo, è lieto di mettere al mondo dei figli sapendo di poter trasmettere loro un adeguato significato dell’esistenza. Per lui il reale è positivo in quanto voluto dal Dio che ha abbracciato la sua vita, non teme perciò di introdurre in esso il proprio figlio.
Il relativista scettico, al contrario, è consapevole di avere ben poco di positivo da trasmettere alla ragione altrui, non è un caso che la secolarizzazione sia andata di pari passo all’individualismo egoista delle società occidentali. «L’ateismo è morto di morte naturale», afferma il filosofo Philippe Nemo, «non ha mantenuto le promesse non sapendo offrire all’umanità una ragionevole ragione di vita» (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2014).