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«L’assistenza spirituale dà benefici tangibili per i pazienti»
NEWS 21 Marzo 2023    di Giuliano Guzzo

«L’assistenza spirituale dà benefici tangibili per i pazienti»

Il 29 marzo si terrà presso il Campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino il convegno conclusivo del progetto europeo “From Cure To Care. Digital Education and Spiritual Assistance in Hospital Healthcare” (FCTC), che ha coinvolto cinque istituzione accademiche in Italia, Spagna, Irlanda e Polonia. Il progetto, coordinato dalla prof.ssa Stefania Palmisano dell’Università di Torino, si pone l’innovativo obiettivo di formare i futuri infermieri e gli altri professionisti della salute all’assistenza e alla cura dei bisogni religiosi e spirituali dei pazienti in ospedale e di integrare la spiritualità nelle pratiche cliniche, confrontandosi anche con le opportunità fornite dalle tecnologie digitali.

Il tema della cura spirituale, in una società multiculturale come quella odierna, è sempre più rilevante e l’emergenza sanitaria per la pandemia da Covid-19 ha mostrato l’urgenza di elaborare nuovi modelli terapeutici volti alla umanizzazione delle cure per migliorare la qualità di vita dei pazienti con patologie severe. Il convegno vedrà la partecipazione delle Università europee partner del progetto, oltre alla presenza degli stakeholders, degli studenti di Infermieristica del Cottolengo e di ANDOS Torino (Associazione Donne Operate al Seno). Il Timone ha intervistato la docente dell’Università di Torino.

Professoressa Palmisano, lei ha vinto un progetto europeo, dal titolo From Cure to Care, volto a sensibilizzare al tema dell’assistenza spirituale nei luoghi di cura. Anzitutto, le chiederei quindi: che cosa sappiamo di questo tipo di assistenza? Oggi, nel nostro Paese, risulta assicurata? E a livello europeo?

«Sì, faremo il convegno di fine progetto al Campus Luigi Einaudi di Torino il 29 marzo 2023, in cui presenteremo i risultati più importanti di questo lavoro. La cura spirituale è un tema sempre più dibattuto a livello internazionale tra gli studiosi che si occupano di salute da prospettive diverse, sia nel campo medico e infermieristico, sia in quel filone noto come medical humanities che riguarda le scienze sociali come la sociologia e l’antropologia. Ciò che colpisce è che a fronte di questo ampio interesse di tipo teorico, che ormai inizia ad avere una tradizione di ricerca consolidata, risultano ad oggi ancora relativamente scarse le applicazioni pratiche nel contesto sanitario. La situazione è migliore in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti o il nord Europa dove si trovano studiosi e centri di ricerca all’avanguardia nel campo della cura spirituale, per esempio Christina Puchalski al George Washington Institute for Spirituality and Health e Fiona Timmins all’University College Dublin in Irlanda. Altrove, come in Italia, l’integrazione fra spiritualità e medicina è solo agli inizi. Il progetto europeo che ho diretto e che ha visto come capofila l’Università di Torino, “From Cure to Care”, è un’esperienza pionieristica di formazione sull’assistenza spirituale che si propone di contribuire a questo lavoro di integrazione nei luoghi di cura».

Che cosa dicono i dati e le ricerche sull’importanza dell’assistenza spirituale nei luoghi di cura? Essa può fare la differenza, incidendo nella vita e/o salute dei pazienti?

«Le ricerche mostrano in modo sostanzialmente concorde la rilevanza dell’assistenza spirituale. Il dato principale che emerge è che l’attenzione verso i bisogni di natura religiosa e spirituale da parte degli operatori sanitari – i medici e soprattutto gli infermieri – ha ricadute positive nel migliorare la qualità di vita dei pazienti. Questo è un dato più volte confermato nel settore delle cure palliative e del fine-vita, dove la dimensione esistenziale della malattia assume particolare centralità. L’auspicio è estendere il modello della cura spirituale anche al di là della medicina palliativista, perché l’assistenza spirituale ha effetti benefici sul modo in cui gli individui danno significato e fronteggiano il trauma della malattia. Questo atteggiamento del paziente può favorire un suo coinvolgimento attivo nella relazione con medici e infermieri e, più in generale, nel processo terapeutico di cui è destinatario.

Possiamo quindi dire che, a differenza del paradigma che vuole scienza e fede in conflitto, medicina e religione possono essere armonizzate e “collaborare”?

«L’integrazione della spiritualità nelle pratiche cliniche, come si diceva, è ancora agli inizi, e questo ritardo è dovuto a difficoltà di vario genere. Tra i fattori che ancora ostacolano questa integrazione i principali sono la scarsa formazione degli operatori sanitari sui temi della spiritualità, il carico di lavoro quotidiano degli infermieri in ospedale che non aiuta a occuparsi di questioni ulteriori rispetto alla cura del corpo e dei suoi bisogni, e la mancanza di criteri oggettivi per valutare l’efficacia degli interventi di cura su una dimensione, come quella della spiritualità, dai contorni non facilmente definibili e che quindi poco a essere tradotta nel linguaggio medico. Gli studi sulla cura spirituale, comunque, indicano una strada promettente e percorribile per la collaborazione tra il sapere medico e la spiritualità intesa come risorsa fondamentale del paziente per il raggiungimento di una condizione di benessere completo che includa, come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solo il corpo ma tutte le componenti dell’identità individuale».

La riduzione del numero di sacerdoti e suore, in un Paese come l’Italia, può o potrà costituire un limite al garantire tale tipo di accompagnamento? Ancora oggi esistono molti ospedali e strutture che portano il nome di Santi, ma sappiamo che la secolarizzazione avanza e i sacerdoti in corsia potrebbero diventare mosche bianche…

«Il fenomeno della secolarizzazione è complesso ed è difficile fare previsioni. Se la secolarizzazione potrà comportare per il prossimo futuro un ulteriore calo di sacerdoti e suore e quindi un indebolimento dell’“offerta” di assistenza religiosa nel cattolicesimo, dobbiamo anche mettere in conto la possibilità di profondi cambiamenti sul versante della domanda di questi servizi da parte di un pubblico formato da persone che hanno appartenenze alla chiesa sempre più deboli. La società attuale, del resto, vede crescere il pluralismo religioso. Bisogna quindi far fronte a una domanda di religiosità sempre più eterogenea capace di riconoscere la presenza sul territorio di nuovi cittadini che provengono da tradizioni religiose non cattoliche. Se prendiamo in esame i grandi ospedali italiani, scopriamo che al loro interno prestano servizio di assistenza religiosa non solo preti cattolici, ma anche rappresentanti di altre fedi, come ebrei, valdesi, musulmani, buddhisti, induisti che possono essere contattati dai pazienti per l’assistenza religiosa e spirituale». (Foto: Ais-sociologia.it/Pixabay)

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