Alla fine ha vinto il buonsenso del «salva entrambe le vite», come il popolo pro life argentino, con l’importante sostegno della Chiesa cattolica e degli evangelici, è andato ripetendo durante tutti gli ultimi mesi di battaglia. In una seduta fiume che si è protratta per 16 ore ed è terminata solo alle 2:43 della notte tra mercoledì 8 e giovedì 9, mentre ad attendere in piazza c’erano migliaia di persone con fazzoletti celesti (pro vita) o verdi (pro morte), il Senato ha respinto con 38 voti contrari e 31 favorevoli (cui vanno aggiunti due astenuti e un assente) il disegno di legge che avrebbe legalizzato l’aborto fino a 14 settimane di gravidanza, consentendolo anche oltre questo termine in caso di malformazioni fetali e di rischio per la salute psicologica della donna. Sarebbero state insomma le solite maglie larghissime, entro cui si sarebbe legalmente consentito un delitto che – se procurato intenzionalmente – rimane tale in ogni circostanza (come chiamare altrimenti l’uccisione di un essere umano innocente?), ricordando che l’Argentina consente già l’aborto in caso di stupro e di rischio per la vita della donna.
Il voto del Senato arriva dopo che il disegno di legge era stato approvato dalla Camera, il 14 giugno scorso, con una maggioranza di 129-123. In quel caso gli indecisi avevano aderito nelle battute finali al fronte abortista, mentre stavolta le previsioni della vigilia sono state rispettate, nonostante le massicce pressioni, provenienti dall’estero, a favore dell’aborto. L’International Planned Parenthood Federation, famigerata multinazionale degli aborti, ha trasferito nell’ultimo decennio oltre cinque milioni di dollari suddivisi complessivamente tra una decina di organizzazioni argentine a sostegno dell’aborto libero e gratuito. A schierarsi a favore dell’aborto è stata pure un’organizzazione che ha ormai abbracciato pienamente la logica mondialista, ossia Amnesty International, che è arrivata a comprare un’intera pagina sull’edizione internazionale del New York Times, puntando sul solito tema degli aborti clandestini.
Anche in Argentina, come già successo in Italia e in tutti gli altri Paesi (compreso il recente caso dell’Irlanda) che negli ultimi decenni hanno eliminato le protezioni a difesa del nascituro, sono stati gonfiati a dismisura i numeri degli aborti clandestini e delle morti materne a essi legati, sempre con il fine di distogliere l’attenzione da quello che è il cuore della questione: il bambino. A fronte di alcune decine di donne rimaste vittime dell’aborto illegale (nel 2007 erano 74, secondo i dati del ministero argentino della Salute) – che certamente addolorano, ma carità vuole che vengano aiutate a partorire e, nei casi estremi, indirizzate verso il parto in anonimato – anche stavolta si voleva giustificare la soppressione di chissà quante decine di migliaia di bambini innocenti all’anno, guardando alle tendenze di Paesi con una popolazione simile all’Argentina, tipo la Spagna, dove l’aborto è ampiamente legalizzato.
Il fronte abortista argentino ha avuto pure il sostegno della Banca Mondiale e si può ritenere che lo avrà anche negli anni a venire, alla luce delle politiche antinataliste portate avanti da agenzie e organismi dell’Onu. Al riguardo, come ha spiegato C-Fam, è già dalla fine degli anni Ottanta che i comitati per i «diritti umani» dell’Onu fanno pressioni sull’Argentina; e nei giorni più caldi della campagna di quest’anno diversi senatori, soggetti a una disinformazione senza sosta, sono arrivati al punto di credere che fosse proprio il diritto internazionale a richiedere la legalizzazione dell’aborto. Anche per tale ragione due politici europei, il lord inglese David Alton e l’irlandese Ronan Mullen, hanno inviato una lettera ai senatori argentini (divulgata da Pro Vita), avvertendoli di non cadere nel tranello, in quanto «il diritto alla vita è un diritto fondamentale nel diritto internazionale e tra i diritti umani. Non c’è diritto all’aborto nelle norme sui diritti umani».
Abbiamo accennato al contributo importante della Chiesa nel Paese di papa Francesco (il quale, due giorni dopo il voto di giugno, incontrando il Forum delle associazioni familiari aveva parlato dell’aborto come di una pratica nazista), la cui mobilitazione ha raggiunto il suo culmine l’8 luglio, quando una cinquantina di vescovi si sono riuniti nel santuario della Vergine di Luján, patrona nazionale, per celebrare una Messa per la Vita davanti a migliaia di fedeli. Nell’occasione il presidente della Conferenza episcopale argentina, monsignor Oscar Ojea, si era scagliato contro la proposta abortista chiamandola «una legge che legittima l’eliminazione di un essere umano da parte di un altro essere umano». C’è stata anche la mobilitazione di centinaia di medici che si sono uniti alle marce pro life (tra cui quella imponente del 20 maggio e un’altra organizzata dagli evangelici, con la partecipazione di molti cattolici, il 9 luglio) recando modellini di feti e la scritta «io sono un medico, non un assassino».
Insomma, il popolo che difende la vita, a partire dai laici, non è rimasto a guardare, anche se questo evidentemente dispiace ai media ‘liberal’, compresi quelli nostrani, che facevano il tifo per la soppressione dei nascituri, perché – è sempre bene ricordarlo – è questa la conseguenza diretta della «libertà» di abortire. Come ha capito bene una giovanissima scrittrice disabile, la sedicenne Veronica Cantero Burroni, che con la sua lettera è riuscita a convincere un senatore a votare contro l’aborto: «Stimato Senatore, non sono favorevole a legalizzare l’aborto – ha scritto Veronica – perché credo che tutte le vite valgano esattamente allo stesso modo. Mi sembra profondamente ingiusto che noi, vivi solo perché giustamente non ci hanno abortito, possiamo decidere di non far nascere delle vite. Con quale diritto? Forse la mia vita vale più di quella di un altro? Questa vita mi ha insegnato che perfino nella disabilità il mondo non finisce. E che non ci sono limiti per i quali una vita non sia degna di venire alla luce per la felicità». La realtà dice che la battaglia continua, come dimostra anche il progetto di riforma del codice penale, ma intanto l’Argentina ha regalato al mondo una buona notizia.
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