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L’anticristianesimo della psicoanalisi che mette la morale sul lettino per curarla da se stessa
NEWS 21 Aprile 2017    

L’anticristianesimo della psicoanalisi che mette la morale sul lettino per curarla da se stessa

di Stefano Parenti
su «Unione Cristiani Cattolici Razionali»

 

Un cristiano che voglia leggersi un buon libro di psicologia è costretto ad attuare una preventiva opera di discernimento. Deve valutare non solo i contenuti che l’autore propone, come è bene per qualsiasi tipo di lettura, ma anche le premesse, sovente implicite, che lo scritto porta con sé. Ovvero l’idea di uomo e di mondo che lo scrittore veicola attraverso le sue riflessioni.

A differenza di altri campi del sapere, in psicologia la concezione dell’uomo e della realtà costituisce un fondamento decisivo per lo sviluppo di qualsiasi discorso psicologico, ovvero sull’uomo e sulla realtà. Se, ad esempio, ritengo che le persone non siano altro che esseri poco più evoluti degli animali, descriverò i loro comportamenti come esito di dinamiche animalesche. L’amore sarà quindi il termine di un istinto, la famiglia la conseguenza di un impulso sessuale, l’amicizia una necessità utilitaristica di autoconservazione, ecc. È difficile trovare un buon libro di psicologia. Anche gli autori che si dichiarano cattolici corrono il rischio di veicolare idee aliene alla concezione cristiana dell’uomo poiché, consapevolmente o incoscientemente, approfonditamente o superficialmente, assumono le prospettive delle psicologie contemporanee.

È uscito un testo che analizza tali rischi e pone le basi per risolvere il problema. S’intitola Da Aristotele a Freud (D’Ettoris Editori 2016) ed è scritto dal professor Martin F. Echavarria, direttore del dipartimento di Psicologia e docente presso l’Università Abat Oliba di Barcellona. È un volume fondamentale.

Per coglierne la portata, poniamoci un interrogativo di tipo storico: prima delle impostazioni contemporanee, prima cioè di Wilhelm Wundt, ritenuto il precursore della psicologia contemporanea, e prima di Sigmund Freud, il “padre” della psicoterapia, che cosa c’era? Quando studiai io all’università, la risposta che ricevetti fu lapidaria: non c’era assolutamente nulla. Qualche esorcismo qua e là, e caccia alle streghe. Niente di serio. Anzi, nel testo base di ogni corso universitario di psicologia (P. Legrenzi, Storia della psicologia, Il Mulino 1980), leggiamo: «Per molti secoli il pensiero umano occidentale ha escluso che l’uomo potesse essere oggetto di indagine scientifica. […] Questa impossibilità affermata di studiare l’uomo è tipica del pensiero cristiano medievale. […] Il pensiero medievale è infatti del tutto alieno dallo studio dell’uomo, di cui nega addirittura la possibilità».

Quale può essere il pensiero sulla psicologia, allora, di un uomo formato alla cultura del terzo millennio? Echavarria lo riassume così: «Ai nostri giorni è comune pensare e insegnare che la psicologia moderna abbia dato inizio a qualcosa di realmente nuovo e rivoluzionario, che annovera pochi antecedenti o abbozzi prima della fine del XIX secolo» (p. 29). Dunque, si potrebbe concludere, l’unica possibilità per addentrarsi nello studio della psicologia è di confluire in una delle impostazioni contemporanee. Echavarria si pone in netto contrasto a tale ricostruzione: «Abbiamo intenzione di dimostrare la falsità di questa credenza» (p. 29). La dimostrazione si sviluppa lungo tre tappe. Dapprima il professore riprende le fonti cristiane: «I primi autori cristiani dimostrano una conoscenza tanto profonda del modo di funzionare della personalità umana che li rende dei veri classici per chi si occupa di queste tematiche» (p. 36). I Padri del deserto, Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano, san Gregorio Magno e, ovviamente, Sant’Agostino sono gli esempi più noti. È però con la «grande sintesi medievale» che tutto lo studio sull’uomo «accumulatosi durante l’età patristica rispetto alla conoscenza pratica della persona umana raggiunge la pienezza, dal punto di vista sistematico» (p. 39).

Il vertice della conoscenza psicologica, teorica e pratica, viene sintetizzato da San Tommaso d’Aquino il quale, come sostiene Francisco Canals Vidal citato nel testo, arricchisce le conoscenze sulla «scienza del carattere» elaborata dagli antichi greci, Platone ed Aristotele specialmente, con le letture patristiche e l’esperienza di vita dell’ascetica cristiana. Per la verità, che San Tommaso rappresenti un apogeo di conoscenza umana se ne era accorto anche uno psicologo ben poco cristiano come Erich Fromm, che aveva detto: «In Tommaso d’Aquino si incontra un sistema psicologico da cui si può probabilmente apprendere di più che dalla gran parte degli attuali manuali di tale disciplina» (p. 41). Con la decadenza della filosofia scolastica il processo di disgregazione del sapere viene contrastato dai mistici del Rinascimento: «Questa tradizione mistica incontrerà il suo culmine nella modernità del Secolo d’Oro spagnolo, in santa Teresa di Gesù (1515-1582) e in san Giovanni della Croce (1542-1591)» (p. 42).

Echavarria cita e inquadra i riferimenti cristiani ma non si sofferma a descriverne gli apporti, poiché desidera far luce sul motivo per cui tale tradizione sia oggi dimenticata. Eccoci alla seconda tappa. La causa viene rintracciata negli autori dell’illuminismo, di cui Christian Wollf ed Immanuel Kant costituiscono gli esponenti più importanti nell’ambito del sapere filosofico e psicologico. Gli illuministi, eterogenei e discontinui al loro interno, attuano un progetto condiviso: la «rottura» con la tradizione. «Ciò che unisce questi pensatori è l’intento di liberazione nei confronti del cristianesimo, cioè, un motivo soprattutto politico-religioso» (p. 47 nota 4). Echavarria riassume così il loro obiettivo: «Si tratta di ricostruire, partendo da zero, l’insieme del sapere umano con indipendenza dalla tradizione scientifica anteriore (specialmente da quella aristotelica), dalla Rivelazione, e da ogni ipotesi “metafisica”, considerate come saperi svincolati e fantasiosi» (p. 47). In questo disegno di «rottura», che dall’illuminismo prosegue sino al XX secolo, un ruolo principale è svolto da Friedrich Nietzsche. Egli non solo si oppone frontalmente e radicalmente alla concezione cristiana, ma utilizza la psicologia come strumento principe per la ribellione: «Il tema della psicologia in Nietzsche deve essere inquadrato nel suo progetto di trasvalutazione di tutti i valori. In questo contesto, la psicologia gioca un ruolo capitale, è l’aspetto distruttivo di quel suo filosofare “con il martello”, al punto che il filosofo tedesco giunge a considerarla come “regina di tutte le scienze”» (p. 68).

Nietzsche accusa di «nevrosi» l’uomo occidentale, precisando che «la specie più grave di nevrotico è il santo» (p. 71). Per il filosofo tedesco la colpa di questa nevroticizzazione – giusto per ricordarlo – è del cristianesimo ed in particolare della sua morale. Essa che va decostruita (p. 70), non per giungere ad una nuova moralità, bensì per condurre l’umanità ad uno stadio «extramorale, al di là del bene e del male» (p. 72). È una «posizione totalmente antitetica a quella tradizionale (classica e cristiana) […] poiché la morale è vista come repressiva della soggettività, invece che come promotrice del suo dispiegamento e pienezza» (p. 74). Per la concezione tradizionale il santo è il virtuoso per eccellenza; per Nietzsche il santo è il nevrotico per eccellenza. Ora, ci si potrebbe chiedere cosa centri tutto questo con la psicologia contemporanea. Echavarria è molto chiaro al riguardo: «Questa concezione, in cui la morale “è posta sul lettino”, analizzata e curata da se stessa, ha un peso nei fondamenti della psicoanalisi di Freud e di quasi tutti gli psicologi successivi, segnando profondamente le caratteristiche della prassi. Lo psicologo sarà qualcuno che aiuta un individuo, esausto e infermo a causa della morale vigente nella cultura occidentale, a liberarsi e a superarla, trasformandosi in un individuo “eccezionale”, o almeno a relativizzarla e viverla come una finzione necessaria, però non sempre obbligante» (p. 75).

Giungiamo così alla terza tappa del percorso. Se l’influsso di Nietzsche, come dice Echavarria, «è stato più profondo su Freud» (p. 68), tanto da poter dire che «il più rilevante esponente del “medico filosofo” nietzscheano è stato senza dubbio Freud» (p. 80), e se quest’ultimo «sia con il suo atteggiamento di fondo sia con le sue teorie, è alla base dell’attuale prassi della psicologia» (p. 68), possiamo ben intuire il perché le psicologie contemporanee siano distanti, se non ostili, alla concezione cristiana dell’uomo. Non solo la psicologia del profondo, quindi, ma anche le numerose correnti che da essa nascono o ad essa si oppongono, come le teorie umaniste, sistemiche, cognitiviste, nascondono delle insidiose premesse antropologiche distanti dalla concezione tradizionale. Il professore precisa che non mancano i tentativi di recupero della concezione tradizionale, come la psicologia positiva; né mancano gli autori che ne hanno proposto una sintesi, benché parziale e problematica, come Alfred Adler; neppure sono assenti i contributi cristiani. Tutti, però, sono molto problematici: «Da un iniziale atteggiamento di sospetto o di rifiuto in ambito cristiano verso la nuova psicologia, ci si è spostati poco a poco sino alla posizione opposta di un’assimilazione eccessivamente acritica e una confusione di linguaggi e di teorie che non sembra aiutare la comprensione reale ed efficace dell’uomo» (p. 123).

Echavarria conclude quindi con una proposta: «Non ci sembra di avere un’altra strada che la dura riscoperta della grande concezione tradizionale del perfezionamento dell’uomo, sforzandoci di comprendere le sue connessioni con le problematiche contemporanee, senza cadere nell’identificazione con posizioni in sé estranee, né evitare la discussione, a volte basata su di una opposizione radicale, con gli autori contemporanei. In questa riscoperta, lo studio approfondito di san Tommaso gioca un ruolo fondamentale» (p. 126). Il volume si chiude una deliziosa appendice, dedicata al Magistero di Papa Pio XII. Anche questo sembra essere oggi dimenticato: il Pontefice si era direttamente interessato alla psicologia, dedicandole tre bellissimi discorsi in cui ne aveva sostenuto il valore ed aveva indicato la strada per superarne le problematicità. Grazie a questo saggio ora ogni appassionato studioso può accedervi.